18 Maggio 2024

Short term city: buone e cattive idee

18 Maggio 2024

Short term city: buone e cattive idee

18 Maggio 2024

Short term city: buone e cattive idee

Se il business degli affitti brevi vale in Italia 11 miliardi l’anno un motivo ci sarà. Dopo la pandemia c’è voglia di viaggiare e afferrare quanto più è possibile delle nostre città. Ma quando l’overtourism forgia lo scenario di cui si nutre in “esperienza a tempo breve” un problema sorge.

Il fenomeno del viaggiatore fai-da-te dilaga in tutto il mondo e la sua portata è paragonabile all’avvento delle low cost nel mercato delle compagnie aeree. Le città, anche le più dimenticate dai circuiti ufficiali si attrezzano per accogliere visitatori e turisti. Con le ‘scadenze’ tipiche di questi flussi. Iniziano così a mancare servizi e si fa avanti invece un’abbondanza di attività commerciali che poco hanno a che fare con chi vive quel territorio. Meglio panini al volo che sostegno all’artigianato locale, per dirne una.

Ma il trend degli spostamenti a tempo è alimentato anche dal nomadismo digitale (le persone giovani che lavorano ‘da remoto’ vogliono cambiare città e abitudini da veri indipendenti) e dal ritorno dei grandi eventi di massa, che coinvolgono a tempo le città e lasciano poi nella maggior parte dei casi, solo cocci.

Prendiamo Milano, che con il Fuorisalone 2024 ha calcolato un arrivo in città di 400mila persone per una settimana. L’indotto del design ha rivitalizzato spazi inconsueti, risvegliato attività commerciali, rimpinguato i conti della ristorazione. Ma cosa resta? Anzitutto, vero, ricchezza per chi ha affittato case a tempo determinato. Ma la città nella versione normale continua ad avere pro e contro che cozzano. In più, l’uso a tempo delle abitazioni della short term city (a Milano come Venezia o Roma) crea frattura tra le due popolazioni, quella locale e residente e quella internazionale e transitoria. I due blocchi di persone si trovano oggi a competere per la stessa risorsa limitata, cioè case, molto spesso in aree molto ristrette e concentrate, causando o aumentando disuguaglianze spaziali e segregazioni.

Questo in parte spiega l’incontrollato aumento dei prezzi dell’abitare (cioè casa e cibo, in prevalenza) in zone specifiche delle città. In sostanza ci sono due mercati immobiliari (affitti brevi e tradizionali) che negli anni si sono sempre più distaccati dall’andamento dell’economia locale e sono sempre più influenzati da agenti esterni. E anche fare la spesa costa di meno o di più a seconda della ‘coolness’ che in quel dato periodo i quartieri vivono per effetto degli eventi ‘transitori’.

I proprietari di case, e quelli di attività ristorative, sono contenti, certo. Ma le piattaforme digitali stanno cambiando le città in molti modi sottili: rimodellano pratiche e immaginari urbani, cambiano le relazioni sociali, perché in molti casi gli abitanti stabili sono portati ad allontanarsi dai centri nevralgici di interesse internazionali.

Poi c’è un’altra analisi da considerare, quando si parla di short term city. Ed è quella ‘valoriale’. A Napoli, il turismo culturale è stato soppiantato in larga parte dal turismo alimentato dai fenomeni dei social media. È più facile trovare code chilometriche davanti a negozi e ristoranti di web-star che per entrare nei musei e scoprire i patrimoni artistici. È davvero questa l’idea di arricchimento di un viaggio?

Foto di apertura: The Amazing Walk, installazione nel cortile del Settecento dell’Università Statale di Milano. Foto simbolo del Fuorisalone 2024 di Gianni Foraboschi per The Way Magazine.

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