Alphabet, Meta e Amazon hanno raddoppiato la loro quota di entrate pubblicitarie negli ultimi 5 anni, secondo il recente report di GroupM. La società leader mondiale nel settore degli investimenti nei media, che fa parte dell’orbita di Google perché ne gestisce il budget pubblicitario, ha lanciato la “bomba” di fine anno: la pandemia ha fatto crescere la pubblicità digitale nel 2021 del 30,5%. E soprattutto, la pubblicità digitale dovrebbe rappresentare il 64,4% della pubblicità totale nel 2021, più di 10 punti in più rispetto al 2019, anno pre-Covid. Secondo i ricercatori Brian Wieser e Kate Scott, i maggiori venditori mondiali di pubblicità al di fuori della Cina sono Alphabet, Meta e Amazon e rappresentano tra l’80-90% del totale globale.
E la notizia che tre giganti della tecnologia controllano più della metà del mercato pubblicitario globale non dovrebbe sorprenderci, perché la pandemia ha accelerato la trasformazione digitale del settore e il declino dei media tradizionali.
I dati ci dicono tre cose. Che mentre il mondo era chiuso in casa a intermittenza in questo ultimo anno, c’è chi necessariamente ha saputo trovarne profitto, ma non a discapito degli utenti: se c’è informazione gratuita come da questo giornale e e se ci sono movimenti di traffico rilevanti sul web lo si deve anche ai mezzi che questi tre giganti mettono a disposizione agli utenti. Gli stessi articoli e contenuti di The Way Magazine, ad esempio, si servono delle “autostrade” chiamate Google, Facebook o Instagram per arrivare ai lettori.
E se la pandemia c’è sembrata più dolce, lo dobbiamo anche ai servizi streaming e di connessione che questi Tre giganti hanno garantito.
La seconda considerazione è che le preoccupazioni sulla privacy online sono tematiche legittime che ciclicamente tornano nel dibattito globale. Ma di fatto queste prudenze non hanno fermato investimenti da parte di chi vuole essere trovato dal proprio pubblico. E contrattare con i giganti può significare avere meno ascolto sui prezzi, ma più bacino d’utenza a livello globale.
Il terzo punto è che i media tradizionali sono in continua crisi, vero, ma c’è un distinguo da fare. La televisione è stato il mezzo tradizionale più performante durante la pandemia, perché il mondo in casa con le restrizioni alla fine privilegia la tv. E altra conseguenza dei lockdown è stata la crescita dei media audio come podcast o fenomeni come Clubhouse. Da tutto ciò gli analisti hanno decretato la fine del concetto di “magazine” così come finora lo si era interpretato, sia fisico che digitale. I confini verranno abbattuti, mentre l’oggetto fisico assomiglierà sempre più a una “bookazine”, il mattone pregiato che si legge senza tempo. Allo stesso tempo, i contenuti digitali saranno quelli usa e getta da consegnare alle cronache spicciole.
Commenti e opinioni
Tre giganti fanno soldi mentre stiamo a casa
Uno degli effetti della pandemia: nel 2021 Facebook. Amazon e Google hanno controllato la metà della pubblicità mondiale.
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Tre giganti fanno soldi mentre stiamo a casa
Uno degli effetti della pandemia: nel 2021 Facebook. Amazon e Google hanno controllato la metà della pubblicità mondiale.
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Tre giganti fanno soldi mentre stiamo a casa
Uno degli effetti della pandemia: nel 2021 Facebook. Amazon e Google hanno controllato la metà della pubblicità mondiale.
Alphabet, Meta e Amazon hanno raddoppiato la loro quota di entrate pubblicitarie negli ultimi 5 anni, secondo il recente report di GroupM. La società leader mondiale nel settore degli investimenti nei media, che fa parte dell’orbita di Google perché ne gestisce il budget pubblicitario, ha lanciato la “bomba” di fine anno: la pandemia ha fatto crescere la pubblicità digitale nel 2021 del 30,5%. E soprattutto, la pubblicità digitale dovrebbe rappresentare il 64,4% della pubblicità totale nel 2021, più di 10 punti in più rispetto al 2019, anno pre-Covid. Secondo i ricercatori Brian Wieser e Kate Scott, i maggiori venditori mondiali di pubblicità al di fuori della Cina sono Alphabet, Meta e Amazon e rappresentano tra l’80-90% del totale globale.
E la notizia che tre giganti della tecnologia controllano più della metà del mercato pubblicitario globale non dovrebbe sorprenderci, perché la pandemia ha accelerato la trasformazione digitale del settore e il declino dei media tradizionali.
I dati ci dicono tre cose. Che mentre il mondo era chiuso in casa a intermittenza in questo ultimo anno, c’è chi necessariamente ha saputo trovarne profitto, ma non a discapito degli utenti: se c’è informazione gratuita come da questo giornale e e se ci sono movimenti di traffico rilevanti sul web lo si deve anche ai mezzi che questi tre giganti mettono a disposizione agli utenti. Gli stessi articoli e contenuti di The Way Magazine, ad esempio, si servono delle “autostrade” chiamate Google, Facebook o Instagram per arrivare ai lettori.
E se la pandemia c’è sembrata più dolce, lo dobbiamo anche ai servizi streaming e di connessione che questi Tre giganti hanno garantito.
La seconda considerazione è che le preoccupazioni sulla privacy online sono tematiche legittime che ciclicamente tornano nel dibattito globale. Ma di fatto queste prudenze non hanno fermato investimenti da parte di chi vuole essere trovato dal proprio pubblico. E contrattare con i giganti può significare avere meno ascolto sui prezzi, ma più bacino d’utenza a livello globale.
Il terzo punto è che i media tradizionali sono in continua crisi, vero, ma c’è un distinguo da fare. La televisione è stato il mezzo tradizionale più performante durante la pandemia, perché il mondo in casa con le restrizioni alla fine privilegia la tv. E altra conseguenza dei lockdown è stata la crescita dei media audio come podcast o fenomeni come Clubhouse. Da tutto ciò gli analisti hanno decretato la fine del concetto di “magazine” così come finora lo si era interpretato, sia fisico che digitale. I confini verranno abbattuti, mentre l’oggetto fisico assomiglierà sempre più a una “bookazine”, il mattone pregiato che si legge senza tempo. Allo stesso tempo, i contenuti digitali saranno quelli usa e getta da consegnare alle cronache spicciole.
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