Jan Kath sta creando una nuova concezione nel design da tappeto. Un nuovo modo di intendere l’arredo classico derivato dalla tradizione orientale con il gusto minimale contemporaneo è il terreno di incontro della produzione di questo creativo, classe 1972, che è distribuito in tutto il mondo.
“Nessuno si sente davvero a suo agio in appartamenti in stile clinica con pavimenti in cemento lucidato- spiega Kath – i miei tappeti sono isole di benessere senza distruggere il passato”.
E le creazioni che vedete in queste foto hanno già ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Red Dot e Carpet Design Award.
Tanta modernità si serve ancora del lavoro a mano tradizionale. Per produrre un pezzo largo 2,5 metri, siedono quattro o cinque tessitori di tappeti fianco a fianco su una panchina. Per completare il tappeto i tessitori devono lavorare in completa armonia col telaio e a un ritmo uguale.
“Questo perché i nostri tappeti crescono orizzontalmente” dice Jan Kath che sottoline anche che “più è alto dettagliato il modello e più tempo ci vuole per realizzare il tessile. Tutti i tappeti poi sono rilegati a mano“.
Anche se i suoi disegni si staccano da mondi tradizionali, il brand si serve di tessitura a mano non limitata alla sola Himalaya. Jan Kath vuole tener viva l’eredità culturale di ogni paese che produce tappeti: “In Marocco, ad esempio, usiamo una tecnologia berbera che si traduce in un effetto rustico, arcaico. Poi c’è il metodo di annodatura turca, per progetti in Anatolia. Altre tecniche sono indiane”.
Per avere ispirazioni giuste il creativo si immerge nei musei che si fondano sul design di tutti i tempi. Come quello di Francoforte, la Triennale di design internazionale di Pechino, l’Art Museum di Riga. Essendo autodidatta, figlio di semplici rivenditori di tappeti in Germania, si è fatto da solo. E con suo padre che visitava i produttori in Iran e in Nepal si è costruito un mondo di suggestioni che lo hanno allenato alla creazione.
Per trovare la sua strada, ha viaggiato attraverso l’Asia e il Medio Oriente da quando aveva 20 anni. “Ma c’è anche la sottocultura industriale della Ruhr in quello che faccio – osa lui oggi – perché è lì che risiede la mia firma, il mio tratto individuale. Il fascino dell’imperfezione di tutto quello che ho visto nella mia vita, quando si sposa con l’alta qualità di un manufatto è impareggiabile”.
E così i mesi che ci vogliono per realizzare a mano un solo tappeto commissionato nelle zone di interesse a seconda della lavorazione, vengono ripagate dalla magnificenza delle location in cui risplendono queste vere opere d’arte. Che oggi adornano le residenze di magnati occidentali e reali arabi.