Del rapper Federico Cortesi, milanese di 23 anni, in arte Kest, sono stata la professoressa di lettere, e conservo per lui una particolare predilezione in quanto lo avevo definito “penna di platino”, per usare un’espressione che mi è cara, e riservo agli studenti di razza. Già a quei tempi scriveva testi e cantava. L’ultimo giorno di liceo, mi fece sentire una sua canzone e, per dirla con il linguaggio rap, “spaccava!” Negli anni, ho seguito il suo percorso, iniziato come membro del collettivo milanese “Label Epoque”, costituito da artisti del municipio 6 di Milano. Da qui, a partire dal 2017, comincia a pubblicare su YouTube i suoi video musicali, fino ad esordire in qualità di solista con “Super6yan” e “Come Ballano I Miei”.
Racconta i tuoi primi passi nella musica.
Sono sempre stato fan del rap sin da piccolo, e ho iniziato a scrivere a 11 anni il primo pezzo “Forte così”. Dopo, continuo a comporre e registrare canzoni per un paio d’anni, finché non registro un brano con Sfera Ebbasta ai tempi in cui non era ancora famoso. Arriva il diploma al liceo Scientifico ad indirizzo Sportivo, inizio a lavorare ed accantono per un periodo la musica, anche per eventi intimi che mi toccano nel profondo. Eppure, il sogno non si spegne dentro e, dopo mesi di tormenti, esco con “Porsche panamera”, che ad un anno dalla pubblicazione vanta 500mila visualizzazioni.
Una soddisfazione enorme.
Mi ha dato la carica che cercavo: l’ho realizzato in una settimana. Mi produco i video e organizzo tutto nei dettagli, anche se con me collaborano un fotografo e un regista amici. Mi piace coinvolgere i ragazzi del Giambellino, il quartiere dove sono nato e vivo, perché la forza del rap è proprio l’aggregazione, sentirsi parte di un tutto, lottare e sognare assieme e, se qualcuno ce la fa, gli altri gioiscono assieme a lui, perché è come se assistessero da una poltrona in prima fila di velluto rosso, al proiettarsi di un bel film che li ha visti partecipi.
Perché hai scelto il genere rap?
Il rap parla al mio cuore, e in modo democratico, consente libertà di espressione, senza necessariamente essere cantanti o avere capacità canore impostate. Mentre sul piano della scrittura, ci si esprime senza barriere e censure, arrivando al pubblico senza filtri. Adesso nel rap è anche entrata la trap, che ha apportato novità con influenze elettroniche, consegnando una musicalità diversa all’ascolto.
Come il web ha modificato il rap?
Il web è entrato nel rap come in ogni settore del mondo. Con la possibilità di accendere i riflettori su di sé, postare un video e vedere che succede, chiunque può trovare la sua occasione, tuttavia è il pubblico sovrano che stabilisce se un contenuto è valido e può diventare virale. Nel rap, partendo da un bacino ristretto, se si lavora bene su un suo progetto, automaticamente diventa popolare: la connessione permette in modo magico e democratico, la condivisione con un potenziale di milioni di persone.
Mi dai una definizione di “musica”?
Credo di averlo capito fin da piccolo, ascoltando Fabrizio De Andrè sulle ginocchia di mio padre. Musica significa uno sfogo dell’anima. Musica significa un momento di espressione. Musica significa un attimo di ascolto. Musica significa un pugno nello stomaco. Musica significa rilassarti. Musica significa tutto.
Ora stai promuovendo il brano appena uscito “Come Charlie brigante”: un nome curioso.
Sono un appassionato del genere gangster: su tutti, del film di Brian De Palma “Carlito’s Way” con Al Pacino e Sean Penn, visto a 15 anni, che mi ha letteralmente folgorato! Mi affascina l’ascesa del gangster che sogna, arrivato all’apice del potere, di smarcarsi e crearsi una nuova vita ai Tropici. In realtà non ci riesce perché il boss giovane lo soppianta e elimina!
Nel mio “Come Charlie brigante” ho voluto trasportare lo spirito di evasione, la forza del sogno e la potenza del desiderio. Ho aperto la finestra dell’immaginazione, e ne è uscito un pezzo di grande impatto e convinzione.
Ogni anno nei vari talent sono presenti artisti rap: conti di proporti? La televisione regala una grande popolarità.
Un tempo avevo il pollice verso nei confronti della tv, adesso non più. Molti rapper sono giudici nei talent, e in ogni edizione è presente almeno un concorrente rap. Segno che il vento sta cambiando e, anche i più ostili al genere, hanno realizzato che è dominante ed il più ascoltato dai giovani, che sono i primi fruitori di musica. Comunque, resto dell’avviso che il percorso più solido sia calpestare la gavetta: ho la consapevolezza che quello che arriva in fretta, spesso sfugge con la stessa velocità.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Riconquistare il periodo in cui ho accantonato la musica, e liberare il freno che ha oppresso la mia creatività, correndo a 200 all’ora dentro le mie ispirazioni musicali. Ho accantonato il “piano B”, e sto già lavorando al nuovo disco. Devo e voglio riuscire a nutrirmi di e con la musica!
Il tuo sogno nel cassetto?
Non restare un numero e fare qualcosa che resti, che tracci un segno. Immagino il successo in questa chiave, come un mezzo per portare alla luce anni di speranza, smettendo di sentirsi incompiuti. Non penso al guadagno, quanto alla possibilità di sprigionare finalmente, dandovi forma, le mie suggestioni. Se penso ai soldi come utilità, vorrei comprare una casa in via Marghera a mia madre Sonia, che da sempre si sacrifica per me con il sorriso.
L’intervista è terminata e la scrittora augura che per tutti ci sia la possibilità di dare un volto ai sogni.