Il gusto, l’occhio estetico propenso a catturare ogni piega della bellezza, è una dote innata. Così è per Michael Milesi interior designer nato in provincia di Brescia, ad Angolo Terme il 4 Luglio 1988. Dopo una laurea triennale allo IULM in “Mercati dell’arte”, ed una magistrale in “Interior e urban design”, con la sua griffe “Millesimi” si sta ritagliando un prezioso spicchio nel rutilante, quanto scintillante, mondo del design.
Da dove deriva l’amore per l’arredo, e la conoscenza dei materiali?
Ho un concetto di design, che è fusione tra arte e moda. I miei avevano una fabbrica di jeans: purtroppo papà è mancato che avevo appena 17 anni, e mamma non se l’è sentita di continuare. Il tributo a questo passato prezioso, è una piccola capsule di vestiti da donna in stile retrò, che definisco un capriccio sentimentale. Li propongo all’interno del mio evento, che vedrà la giornata clou l’8 Giugno, al “Brera District Design”.
Spieghi che significa essere interior design?
Lo vivo come una sintesi di studio e ricerca, impastato di cura per la cromia e la storia dell’arte. Il marchio “Millesimi”, è un acronimo del mio nome e cognome, oltre a ricordare il millesimale della progettazione, visto che lavoro molto sui pattern, ovvero sulla serialità delle grafiche ripetute.
Il tuo compagno Damiano Gallo è un imprenditore ed immobiliarista di grande successo: collabori con lui per ambientare le case?
Collaboriamo senza che questo diventi ufficiale o scontato, per non turbare il nostro rapporto. Ovvio che se un suo cliente è in linea con il mio gusto, può venire naturale lavorare assieme.
Dal 6 al 12 Giugno sei a Milano in via Madonnina 12, per presentare la tua ultima creatura: me la racconti?
All’interno del “Brera Design District”, il corpo della mia esposizione sono due collezioni di carte da parati “Toile”e “Deco”, ispirate agli anni ’20. La prima riprende una stampa, che richiama quelle giapponesi, in suggestioni da “Mille e una notte”. La seconda, è un capolavoro di opulenza, in un trionfo dell’oro, ingabbiata nella simmetria di un Oriente segreto, che conduce in un viaggio onirico, e quasi criptico, dell’esotico.
Come complemento d’arredo proponi la lampada “Tato”: qual è la sua genesi?
Ho creato la lampada “Tato”, con un omaggio a Damiano, che affettuosamente mi chiama così. E spero che abbia la stessa fortuna del nostro consolidato rapporto. Immagino i miei oggetti talmente amabili, da indurre a coccolarli come creature viventi! La peculiarità, è che sono decontestualizzati dalla mansione d’uso, per dare loro un’altra funzione. “Tato” era un bustino sartoriale da bambino, che ho deprivato della funzione passiva e secondaria. Pirandellianamente da oggetto, l’ho caricato del protagonismo di un soggetto, rivestito con i diversi tessuti di “Millesimi Design”. La lampada da tavolo o da terra, nella versione “Head”, ha all’interno della lampadina, tre diversi messaggi: “Kiss me”, “King” e “Bitch”. Invece la versione “Hook”, al posto della testa, possiede un gancio e può essere pure appesa, con un cuore scintillante a calamita, sul corpo centrale.
Sei famoso per i tuoi “Mori”, rivisitazione delle celebri teste siciliane.
Dei “Mori” presento quest’anno altre due varianti: una versione “soft” con effetto velluto al tatto e alla vista, ed i “mori carica”, con all’interno della base una ricarica wireless per il cellulare: basta appoggiare il telefono sulla testa del Moro.
Mi dai una definizione di bellezza, e come si sposa con la tua professione?
La bellezza non è estetica: è ciò che piace ad ognuno, con il proprio gusto e modo di scegliere un oggetto. Importante, è trasmettere un messaggio funzionale ed emotivo, che invogli il cliente a comprare l’opera. Si deve desiderarne il possesso, in un trasporto affettivo, di chi già lo immagina a casa, e lo vuole vivere nel privato delle pareti domestiche.
Come vedi il tuo futuro?
Da eterno positivo, spero di avere sempre più successo, ma sono aspirazioni dallo slancio genuino, di chi resta umile e concreto: mi prefiggo di progredire nell’attività, ampliando la gamma dei prodotti da proporre sul mercato. Tuttavia nelle fasi creative, resto il bambino dedito a fare i compiti dentro il laboratorio dove lavoravano i miei genitori. La loro fattività, mi è cresciuta dentro, e quell’ambiente artistico e fresco, ha alimentato la mia anima. E il disegnare di papà, mi spronava a prendere la matita, spendendo ore sui fogli. Viaggiavo allora nel mondo del sogno, giocando con le linee e le curve: fatale che diventassero ideazione.