
La mostra si snoda nel Salone della Meridiana presentando molte sezioni con temi legati al Mediterraneo antico, nelle quali dialogano reperti archeologici riemersi dalle acque, tecnologia, ricostruzioni: dai tesori al commercio, dal mito all’economia, dalla vita di bordo alle ville d’otium fino ai rinvenimenti nelle acque profonde il visitatore potrà avere un quadro aggiornato dello stato dell’arte dell’archeologia subacquea del Meridione. L’esposizione prosegue con una seconda sezione, ubicata nell’area sotterranea della Metropolitana, che accoglie nuove scoperte provenienti dall’area portuale di Neapolis.Disegna, nel complesso, rotte culturali di connessione tra tanti siti campani, del Meridione in genere e di altri paesi mediterranei. Si tratta di una connessione storica che però deve rafforzare l’idea che il Mare Nostrum è un ponte e non una separazione. In questo senso vanno intese anche le collaterali a questa mostra, che ci parlano di migranti napoletani e Ischitani fra fine Ottocento e primi del Novecento”.

LA MOSTRA – L’esposizione, che rappresenta una vera e propria summa di quanto svelato dalla disciplina dell’archeologia subacquea dal 1950 sino ad oggi, raccoglie circa quattrocento reperti, provenienti da prestigiose istituzioni italiane ed internazionali.Centro simbolico dell’exhibit è l’Atlante Farnese, capolavoro marmoreo databile al II sec. d.C.: il percorso di visita, infatti, con particolarissimi artifici allestitivi e giochi di luce, segue le costellazioni rappresentate nella parte superiore della scultura, assecondando, in una suggestiva rotta artistica tra passato e presente, il modus dei naviganti antichi che orientavano il proprio viaggio seguendo il cielo.Filo conduttore di questo originale itinerario è la scoperta del Mediterraneo che, sin dalle radici storiche più remote delle civiltà occidentali, era interpretato (e vissuto) secondo diverse accezioni: cultura, economia, società, religiosità, natura e paesaggio sono termini legati, da sempre, al Mare Nostrum.


Così il tema dell’interconnessione (di dimensioni temporali, discipline, contenuti scientifici e linguaggi della comunicazione) ha caratterizzato il progetto espositivo di “Thalassa”, sin dalla sua genesi: la mostra è nata, infatti, nel più ampio framework di collaborazione tra il MANN e l’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana; questa sinergia è stata resa possibile grazie all’impegno del prof. Sebastiano Tusa, archeologo di fama internazionale, scomparso tragicamente nella sciagura aerea di marzo 2019.
“Teichos. Servizi e tecnologie per l’archeologia” ha elaborato il progetto scientifico dell’esposizione, curata da Paolo Giulierini, Sebastiano Tusa, Salvatore Agizza, Luigi Fozzati e Valeria Li Vigni.

L’exhibit è stato promosso anche in rete con il Parco Archeologico di Paestum, sede della mostra “gemella” “Poseidonia. Città d’acqua” su archeologia e cambiamenti climatici, e con il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, che ospita il percorso espositivo su “I pionieri dell’archeologia subacquea nell’area flegrea e in Sicilia”.
Sono nove le sezioni in cui si articola la mostra: 1) Tesori sommersi; 2) I primi passi dell’Archeologia subacquea; 3) Relitti; 4) Vita di bordo; 5) Navigazione, mito e sacro; 6) Il mare, via dei commerci; 7) Il mare e le sue risorse; 8) Bellezza ed otium; 9) Acque profonde.
Completa il percorso, nella Stazione Neapolis del MANN, un focus di approfondimento sul porto antico di Napoli, svelato durante gli scavi della metropolitana in Piazza Municipio.
Tra le opere in mostra, la Testa di Amazzone, copia romana di un originale greco, proveniente dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei ed, in particolare, dalla collezione del Castello di Baia; la Testa bronzea del Filosofo di Porticello (V sec. a.C.), ritrovata nell’omonimo relitto ed appartenente al Museo Archeologico di Reggio Calabria; il “Tesoretto di Rimigliano”, che comprende monete di argento di età romana imperiale, oggi conservate al Museo Archeologico del territorio di Populonia a Piombino; il “Rilievo di Eracle e Anteo” (II sec. a.C., oggi conservato al Castello Ursino di Catania); il “Reshef” di Selinunte (Museo Salinas di Palermo), eccezionale statuina bronzea (realizzata presumibilmente tra XIV e XII sec. a.C.).
Visibili, dunque, i reperti del relitto di Albenga, tra cui figura uno dei sette elmi bronzei trovati da Nino Lamboglia, così come un’anfora del I sec. a. C.; le lucerne di età imperiale e l’altare nabateo di Pozzuoli (I sec. a C.); i rilievi dal porto di Baia, appartenenti ad una grande villa con ninfeo di età severiana.
Eccezionale la presenza, in mostra, di trenta reperti provenienti dal Museo Archeologico di Atene ed, in particolare, dal relitto di Antikythera, prima imbarcazione rinvenuta ad inizio Novecento nel Mediterraneo: tra questi, spiccano raffinati gioielli in oro, pregiate coppe di vetro, parti di statue bronzee ed oggetti della vita di bordo (i reperti risalgono al I sec. a.C.); nel percorso di visita, presente anche una ricostruzione in 3D del calcolatore astronomico recuperato nella nave.
Dal relitto ritrovato nel 1990 a largo di Punta Licosa provengono, infine, anfore vinarie ed attrezzature di bordo, tra cui la pompa di sentina, che era un sistema per portare l’acqua via dall’imbarcazione.
PORTO ANTICO DI NAPOLI – Nella sala “Stazione Neapolis” del MANN sono esposti reperti che ricostruiscono storia e caratteristiche del porto antico di Napoli, partendo dalla prima fase di scavi della metropolitana di Piazza Municipio, agli inizi degli anni Duemila, e giungendo sino agli ultimi ritrovamenti, tra 2014 e 2015.
Per gentile concessione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, sono visibili al MANN, per la prima volta in occasione della mostra “Thalassa”, tre importanti e singolari reperti lignei: una splendida ancora di oltre due metri e mezzo (databile alla fine del II sec. a.C.), un remo ed un albero (età imperiale), residui delle imbarcazioni che attraccavano nell’antico porto cittadino.
Tali opere sono presentate al pubblico a seguito di un intervento conservativo realizzato dall’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro.
Sotto, nella foto di Maurizio De Costanzo, Gabriel Johannes Zuchtriegel (Weingarten, 24 giugno 1981), archeologo tedesco, direttore responsabile del Museo Archeologico Nazionale di Paestum che ha collaborato all’allestimento di Thalassa al MANN di Napoli.
DESIGN DELLO SPAZIO – Riportiamo la disamina che Simona Ottieri/ Gambardellarchitetti ha fatto dello spazio espositivo.
Allestire una mostra mette in gioco diversi piani di sapere, di ascolto e di immaginazione: si può infatti rimanere neutrali rispetto alle indicazioni curatoriali oppure partecipare al racconto montando immagini.
Il progetto di allestimento per Thalassa ambisce ad unire,come in una sorpresa, l’aspetto scientifico con quello emotivo, l’ambito narrativo con quello simbolico.
Bisognava rendere la vastità materiale e concettuale dei reperti provenienti dal Mar Mediterraneo in uno spazio architettonico di grande fascino come Gran Salone della Meridiana al Museo Archeologico Nazionale di Napoli sormontato dallo splendido affresco di Pietro Bardellino in onore dei sovrani Ferdinando e Maria Carolina e dallo spettacolare orologio solare incastonato nel pavimento, lungo oltre ventisette metri e dovuto a Pompeo Schiantarelli.
La scelta è stata quella di puntare su una idea simbolica che lavorasse insieme agli oggetti che doveva esporre contribuendo alla narrazione avviata dai curatori della mostra, valorizzando il meraviglioso patrimonio di reperti provenienti dal mare.
La prima immagine riaffiorata dalle suggestioni custodite nella memoria difronte a quella vastità e varietà di reperti è stato il John Soane Museum di Londra, uno spazio denso e affollato, una sala a tripla altezza ricolma di oggetti che si mostravano con la finitezza frammentaria ma al tempo stesso sontuosamente pregevole dell’architettura di spolio.
Il percorso comincia con un portale di ingresso che raffigura il momento di passaggio attraverso le colonne di Ercole entrando nel Mediterraneo.
Cos i visitatori, incontrano una sequenza di geometrie desunte da un preciso intento figurale, una sequenza di pedane che, dalla memoria dei movimenti gradonati ed essenziali delle scenografie di Adolphe Appia, raggiunge la complessità dello spazio privato di Soane attraverso il montaggio dei reperti secondo le grafie della volta celeste.
Una trama luminosa, in alto, racconta le stelle e il loro occupare la calotta del cielo, la libera proiezione della loro impronta determina una moltitudine di isole la cui geometria è desunta dalla stilizzazione delle costellazioni.
La composizione si anima di una lunga serie di basi e coniuga una pianta di impronta informale con la singolare nettezza geometrica del contenitore.
Cubi, scale, gradoni, panche, vetrine alte e basse determinano un paesaggio spettacolare tutto intorno all’Atlante Farnese che sarà mostrato in un modo nuovo e insolito. Un paravento riflettente mostra, come in un caleidoscopio, le costellazioni contenute nella parte superiore della meravigliosa scultura. In un unico sguardo sarà possibile vedere l’atlante da più punti di vista. Le scelte tecnologiche per il design di questo paesaggio di meraviglie sono improntate ad una sofisticata semplicità.
Tutto si determina secondo principi di montaggio scatolare che non usano regole se non la ricerca di una forma originaria, quella del tracciato delle stelle, adattata e tradotta in geometrie mutevoli relazionate alla quantità e alle dimensioni dei reperti da esporre.
Il corpo di questa architettura per concorrere alla visione immaginaria del mare è realizzato in legno pressato in scaglie e giunzioni rette da viti con rinforzi dello stesso materiale laddove sono richiesti.
Molte vetrine sono di recupero e, quindi, questa azione da bricoleur si pone in forte continuità ideologica con i modi del nuovo disegno trasformando, con l’impiego di una finitura monocroma ad acqua la molteplicità di forme in un paesaggio dominato da un solo riverbero argenteo.
Lo scopo è, quindi, quello di costruire un nuovo panorama interiore attraverso una tecnologia essenziale, facile e una verniciatura che restituisca la potenza del legno ricomposto e il magnifico corpo delle sue imperfezioni.
Questa tinta lucida ma non abbagliante donerà un alone agli oggetti esposti in un gioco di tonalità che racconteranno la segreta tessitura di un filo d’Arianna capace di tenere assieme le diverse sfumature delle tracce lontane affiorate dal Mediterraneo.
Video e foto di Maurizio De Costanzo / The Way Magazine presso MANN Napoli, dicembre 2019.