Serge Brignoni (1903-2002) ha dedicato buona parte della sua vita a fidarsi del suo istinto di collezionista d’arte. E a rendere omaggio alla sapienza e maestria di oscuri artisti da ogni parte del mondo. Come quando aveva capito che i volti disegnati in fibre vegetali su conchiglie giganti, molto poplari negli anni Sessanta del Novecento nel mercato degli antiquari, avrebbero avuto un senso storico e artistico una volta decifrate. Arrivavano dalla Nuova Guinea e fanno parte della donazione a metà degli anni ‘80 della sua straordinaria collezione di arte etnica, che a Lugano ha portato alla nascita del MUSEC.




Nella visione dell’artista surrealista svizzero, i suoi seicento e più capolavori avrebbero dovuto permettere alle generazioni future di comprendere la lezione artistica dei popoli che li avevano realizzati e, al medesimo tempo, di scoprire i legami profondi tra l’arte etnica e le scelte estetiche ed espressive dell’arte del Novecento. Pittore e scultore, nato a Chiasso nel 1903, Serge Brignoni partecipò alle avanguardie del Novecento. Dalla sua casa-atelier di Berna, si appassionò all’arte dei “Mari del Sud” e durante gli anni 1930-80 raccolse e collezionò sculture create dai popoli dell’Estremo Oriente, dell’India, del Sud–Est Asiatico, dell’Indonesia, e soprattutto dell’Oceania.
Nella mostra al Musec, le opere sono raggruppate secondo la loro provenienza geografica e culturale: Nuova Irlanda, Nuova Guinea, Borneo, Golfo di Papuasia, Nuova Caledonia, Sulawesi, Nagaland, Bali. Ma il filo conduttore del percorso espositivo resta la relazione interiore di Brignoni con l’arte etnica: i pensieri, le emozioni e i mondi interiori generati dal rapporto tra l’artista-collezionista e le sue opere.






Brignoni apparteneva infatti alla generazione di artisti europei che, tra le due guerre, scelsero di vivere a Parigi, condividendo l’impulso a creare nuovi linguaggi artistici e l’innamoramento per le «altre» arti.
Le didascalie della pregevole mostra ci raccontano anche che le popolazioni del sud-est asiatico dei Toraja non raffiguravano mai le divinità ma ritraevano defunti. Durante i tradizionali rituali funebri, consacravano le statue che avevano scolpito in modo da farle partecipare alla funzione. Si chiamavano Tau Tau e sono conservate in tutta la loro misteriosa bellezza nel museo su due piani di Villa Malpensata.
In occasione di questa esposizione temporanea, un centinaio di opere illustrano sia una straordinaria diversità di linguaggi artistici, sia l’intuizione precorritrice di Brignoni di un’«Arte dei Mari del Sud» che accomuna, in un unico orizzonte artistico e culturale, l’India meridionale, parte del Sud-Est asiatico, l’Indonesia e l’Oceania.
Fotoservizio di Gianni Foraboschi dal Musec per The Way Magazine
