Dovrebbe essere sempre una festa quando si apre un museo in Italia, perché vuol dire che si torna a investire in cultura e nel patrimonio più prezioso che questo Paese ha da offrire al mondo. E questo è il caso del Classis di Ravenna che apre le porte il primo dicembre 2018. Si chiama così perché sorge nell’area dell’ex Zuccherificio di Classe, a pochi passi dalla Basilica di Sant’Apollinare, tra i tesori massimi di Ravenna.
Finora Ravenna era conosciuta come sede di inestimabili tesori del Medioevo che ne fanno una delle prime città d’arte d’Italia. Ora anche l’archeologia, dalla preistoria all’età romana, entra in gioco nel sistema dei luoghi da visitare. Un’area espositiva di 2.800 metri quadrati, circondata da un parco di un ettaro e mezzo sempre aperto al pubblico, per dare una testimonianza dal passato e dal presente, col recupero stesso dell’ex zuccherificio di Classe, sede del museo.
“A CLASSIS Ravenna. Museo della Città e del Territorio lo straordinario racconto di una città attraverso i suoi snodi principali, dalla preistoria all’antichità romana, dalle fasi gota e bizantina all’alto Medio Evo, sarà sviluppato attraverso materiali archeologici il cui valore intrinseco viene esaltato dall’essere proposto in un’ottica unitaria, nonché supportato dai più moderni ausili tecnologici”, dice Giuseppe Sassatelli, presidente Fondazione RavennAntica.
Classis Ravenna, sarà il punto culturale di riferimento per chiunque voglia conoscere compiutamente la storia di Ravenna, dai primi insediamenti alla civiltà etrusca, poi al ruolo importante della città in epoca romana quindi a Ravenna Capitale dell’Esarcato Bizantino. Da luogo esecrato come simbolo di degrado sociale a biglietto da visita di Ravenna e della sua illustre storia antica. Accade all’area dell’ex Zuccherificio di Classe, a pochi passi dalla Basilica di Sant’Apollinare, tra i tesori massimi di Ravenna. Qui, nei primi decenni del secolo scorso, 600 operai trasformavano tonnellate di barbabietole in montagne di zucchero che, per nave e ferrovia, raggiungevano l’Italia e l’Europa. Poi il declino, e nel 1982 la chiusura. E, con l’abbandono della produzione, i grandi fabbricati divennero ricettacolo di ogni emarginazione. Data gli anni ’90 l’idea di trasformare un enorme problema in una fondamentale risorsa per il futuro di Ravenna.