Tra le più grandi artiste australiane contemporanee, Sally Gabori è stata un unicum nella storia dell’arte contemporanea. L’artista aborigena australiana (1924-2015) si chiamava per esteso Mirdidingkingathi Juwarnda Sally Gabori e oggi è tutelata dalla sua famiglia. A portarla a Milano, con una mostra alla Triennale fino al 14 maggio 2023, l’accordo con la Fondation Cartier. Sono arrivati in città per celebrarla Amanda Gabori Dibirdibi e Tori Juwarnda Wilson (rispettivamente figlia e pronipote di Sally Gabori), Bruce Johnson McLean (Barbara Jean Humphreys Assistant Director, First Nations and Head Curator, First Nations Art, National Gallery of Australia, specialista di Sally Gabori) e Juliette Lecorne (Curator, Fondation Cartier).
La grande particolarità della storia di Gabori è che a 81 anni, nel 2005, iniziò a dipingere in uno stile astratto che sviluppò per rappresentare il suo Paese, sul lato sud dell’isola di Bentinck nel Queensland. Appartenente agli ultimi aborigeni costieri a entrare in contatto con gli europei, Sally parlava a malapena inglese e non sapeva scrivere il suo nome. I biografi insistono col dire che la sua fascinazione per l’arte arrivò all’improvviso dal nulla. “Questo è il mio mare, questa è la mia gente”, si legge nelle installazioni che accompagnano le sue grandi opere. In gran parte isolati, con una popolazione di 125 abitanti nel 1944, i Kaiadilt furono gli ultimi aborigeni dell’Australia costiera a stabilire legami duraturi con gli europei. Sally Gabori e la sua famiglia vivevano uno stile di vita tradizionale, affidandosi quasi interamente alle risorse naturali della loro isola. Come la maggior parte delle donne, si occupava della pesca, della manutenzione delle nasse in pietra che punteggiavano le coste dell’isola e della tessitura di fibre naturali in ceste.
Il primo importante riconoscimento alla sua arte, che parlava un linguaggio astratto ma riferito alle esperienze famigliari dell’autrice e del suo popolo Kaiadilt, è arrivato l’anno scorso con una mostra alla Foundation Cartier d’estate. La prima personale aveva colpito i visitatori internazionale per l’uso gioioso del colore e le grandi dimensioni dei suoi lavori.
La libertà del tratto, il rifiuto della formalità e l’assenza di ogni costrizione stilistica ha reso grande questa artista. La mostra milanese, che riunisce una trentina di dipinti monumentali provenienti da collezioni pubbliche e private europee e australiane,