“Georges de La Tour: l’Europa della luce“, a Palazzo Reale di Milano (fino al 7 giugno) è una mostra promossa dal Comune di Milano Cultura, da Palazzo Reale e da Mondo Mostre Skira, curata dalla professoressa Francesca Cappelletti e da Thomas Clement Salomon. L’iniziativa vanta nel suo comitato scientifico, tra gli altri, lo storico dell’arte e già direttore del Louvre Pierre Rosenberg.
Una mostra dedicata al più celebre pittore francese del Seicento e ai suoi rapporti con i grandi maestri del suo tempo. Ma non solo.
Georges de La Tour è una delle figure più interessanti e sorprendenti della storia artistica europea. La sua tavolozza è fatta di luce: una luce che permette alla realtà di manifestarsi, di liberarsi dalle sovrastrutture del buonismo sociale: in una parola, di esistere.
È stato definito “pittore della luce” proprio perché è quest’ultima l’elemento costitutivo della sua visione pittorica.
Siamo dunque di fronte ad un artista “illuminato”? In realtà non sappiamo molto della sua persona e quello che conosciamo di lui poco ha a che fare con la sua arte: padre di 11 figli, dal carattere difficile e con un gran numero di cani randagi. Eppure fu molto apprezzato ai sui tempi tanto che, nel 1639, fu nominato pittore del re Luigi XIII.
Quindi, dobbiamo cercare in un’altra direzione. Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla mostra.
La mostra raccoglie una serie cospicua di capolavori del Maestro – ben 15 più una attribuita – prestati alla città di Milano da 26 istituzioni museali di tre continenti. Si tratta della prima mostra completa considerando che, dalla riscoperta del Maestro, soltanto 5 opere sono state esposte a Palazzo Marino e Palazzo Reale, tra il 2005 e il 2011.
Si tratta inoltre di un’esposizione unica considerando che in Italia non vi è conservata nessuna opera di La Tour e sono circa 40 le opere certamente attribuite al pittore.
Eppure c’è dell’italianità nella riscoperta di La Tour avvenuta, come per Caravaggio, nel Novecento dopo tre secoli di oblio.
Infatti nel 1915 lo storico dell’arte Hermann Voss, pubblicò un articolo in cui assegnava a La Tour, che allora era soltanto un nome senza opere, alcuni dipinti. Ma questo testo sarebbe passato inosservato se un giovane Roberto Longhi non lo avesse segnalato al Louvre il quale, proprio in seguito a questa segnalazione e agli approfondimenti che ne seguirono, decise di acquistare il suo primo La Tour nel 1926.
Ma la definitiva riscoperta dell’artista si deve a tre mostre svoltesi a Parigi negli anni 1934, 1972 e 1997.
Nonostante i notevoli progressi che lo studio e le ricerche hanno consentito di compiere, rimangono ancora molti aspetti di La Tour da chiarire: dalla formazione, da un ipotetico viaggio in Italia e dalla cronologia delle opere (solo tre suoi dipinti sono datati).
Al di là dei “buchi” storici, ci troviamo di fronte ad un artista enigmatico, quasi senza passato ma con una potente e personale idea del presente che caratterizza ciascuna delle sue opere. Per La Tour non ci sono maschere: i suoi personaggi, sacri o profani che siano, hanno il volto della gente di strada. E questo
ci pone di fronte ad un primo grande interrogativo: gli angeli, i santi, la stessa Vergine Maria chi sono realmente? Delle “pseudo divinità” o delle persone come noi? I loro volti sono realmente intrisi di quella perfezione che la storia dell’arte ci ha illustrato per secoli oppure sono “umani”, come quelli di ciascuno di noi?
Non foss’altro che per instillarci non tanto il dubbio ma la voglia di cercare, l’opera di La Tour avrebbe raggiunto il suo scopo, innescando una rivoluzione estremamente attuale ma che ancora si scontra con il nostro perbenismo.
Ed per questo che, qualora ciò non bastasse, il Maestro rincara la dose. Ecco che appare la LUCE.
Una luce che, per lui, è sinonimo di VERITÀ e che illumina situazioni e volti mostrandoli nella loro realtà nuda e cruda.
Non vi è contrasto tra i temi “diurni” e quelli “notturni”: entrambi ci mostrano un’esistenza senza filtri, dove i volti sono segnati dalla povertà e dall’inesorabile trascorrere del tempo. La notte, con le sue ombre, attenua in parte questo aspetto ma ci rimanda inesorabilmente all’interiorità: anch’essa necessita di luce.
Il pennello dell’artista si muove dunque tra pittura e poesia, tra luce e tenebre, tra sacro e profano con una maestria ed una “crudeltà” che ferisce chiunque viva di menzogna o, quanto meno, di luoghi comuni.
La Tour ha saputo unire dolcezza e crudeltà in un’unica pennellata. E ciò lo rende estremamente attuale.
Se pensiamo a come oggi la luce, nelle sue numerose declinazioni, viene utilizzata, possiamo comprendere la portata rivoluzionaria del lavoro dell’artista.
Oggi le luci non servono più per vedere ma per nascondere: basta guardare certi talk-show dove conduttori e soubrettes sono inondati da potenti riflettori che ne camuffano gli inevitabili inestetismi. Lo stesso dicasi dei servizi fotografici e dei filtri del cellulare.
Insomma, la luce fa paura perché, svegliandoci, rende reale il più spaventoso degli incubi: noi stessi.
Andare a visitare la mostra di Georges de La Tour non è dunque soltanto andare a vedere le opere di uno dei più interessanti ed enigmatici pittori dell’Europa del Seicento ma è soprattutto andare a visitare, ad incontrare – forse per la prima volta – se stessi.
E, credetemi, il gioco vale la candela!
Fotoservizio a cura di Simona Heart all’opening della mostra a Palazzo Reale – Milano, febbraio 2020.