Era il 26 aprile del 1977 quando a Mahattan un locale sorto al posto di un teatro televisivo stava per cambiare le sorti dell’intrattenimento globale. Si chiamava Studio 54 e in un mondo ancora non globalizzato, per 33 mesi soltanto riuscì a influenzare mode e movimenti di tutto il mondo. La nightlife americana e le sue stelle sono ripercorse da Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano nel volume “La storia della Disco Music” (Hoepli). Bufalini, nel giorno del compleanno del locale che consacrò il genere, e in tributo a uno dei padri della Disco, Giorgio Moroder (che oggi compie 81 anni) racconta: “La disco music oggi come allora è sempre nel dna degli artisti che vogliono colpire il pubblico”.
Andrea, chi sono gli artisti che oggi richiamano il periodo d’oro della Disco?
Dua Lipa con Future Nostalgia e Kylie Minogue con Disco hanno riportato ancora una volta in auge il genere negli ultimi mesi. Nonostante lo scioglimento dei Daft Punk, il lato elettronico del movimento resiste, con tanti emuli. Mentre penso che artisti come Bruno Mars e Justin Timberlake rappresentino con il loro costante citare la Disco, il suo lato più funky.
Con Giovanni Savastano avete raccolto in un solo volume un sacco di aneddoti e notizie del boom della Disco. Che lavoro è stato?
Prima di tutto ci siamo documentati non solo attraverso i ricordi, ma con tante riviste e giornali introvabili dell’epoca, per tuffarci in quel contesto. Le vendite del libro “La storia della disco music” sta andando bene, proprio perché viene riscoperto come testo di riferimento dell’epoca a ondate. Abbiamo un focus incentrato nel periodo 1974-1980 e l’abbaimo concepito come la prima narrazione completa, ricca di storie, aneddoti e citazioni, sul caleidoscopico genere che ha contribuito in modo fondamentale all’evoluzione della musica moderna.
Che contesto sociale ha generato la Disco Music?
Il modo di vivere non sarà più lo stesso ma ogni tanto torna lo spirito dell’epoca: c’era molta speranza e libertà, voglia di affermare il proprio io senza aver paura di essere giudicati ed etichettati. Anche l’Italia ha cercato di inserirsi nel filone, nonostante ci fossero delle forze che reprimevano. Le femministe del nostro paese dicevano che la donna nella disco music era un oggetto, ci fu un dibattito acceso su questo.
Donne che lottavano contro donne?
Succedeva proprio questo, Donna Summer e Amii Stewart venivano attaccate per il loro piegarsi a un genere musicale che esprimeva molta sensualità. Ma in quel modo di cantare si è poi visto che la donna diventava soggetto non oggetto. Con quelle esibizioni le cantanti, specialmente nere, affermavano una loro sessualità che prima non avevano potuto esprimere. Volevano cantare come Barry White e Mick Jagger.
Quindi la Disco è stata una bandiera per la liberazione?
Sì, la narrazione dei padrini del genere in America prevedeva che tutti fossero uguali sul dancefloor, era una prerogativa di partenza, non era elitaria. Per i gay che all’epoca in Italia non erano così definiti e rappresentati, fu lo stesso. In America Sylvester e Grace Jones hanno fatto molto per la liberazione delle minoranze unite sul dancefloor. Era quella la vera aggregazione sociale ma in Italia non c’era questa riflessione, c’erano i cantautori che seguivano le vicende politiche. La disco da noi era commerciale perché vendeva troppo e quindi non era presa seriamente. Come se quello che piaceva alle masse non dovesse essere tenuto in considerazione.
Cosa avete scoperto di quella notte di aprile del 1977, quando la Disco trovò finalmente la sua casa?
Dell’opening dello Studio 54 si è favoleggiato a lungo, con la mitica PR Carmen D’Alessio che aiutò i due impresari Steve Rubbell e Ian Schrager a fare colpo fin dalla prima mossa. Loro erano i fondatori nonché proprietari di questo teatro adibito a studio tv alla 54esima Est di New York. Vollero conservare il parquet a terra: a quel punto il palcoscenico di legno, come nelle ballroom del Savoy degli anni Trenta, divenne la prima pista da ballo in quel modo.
Cosa c’era di particolare in quel luogo?
La mirror ball con tutti gli specchietti era enorme e divenne un simbolo di un intero genere, complice anche ‘Saturday Night Fever‘ uscito proprio un anno dopo in primavera. La cosa caratteristica che aveva lo Studio 54 era lo spicchio di luna con un cucchiaio che indicava la parte trasgressiva del locale. Fino alla sua prima chiusura a febbraio del 1980 il locale ha dettato la moda ed è diventato leggendario in tutto il mondo, con i party, le sfilate, i gala e le serate danzanti che attiravano migliaia di persone ma solo pochi riuscivano ad entrare nella mecca del divertimento e degli eccessi.
Cosa racconta chi ci è stato?
C’è uno spartiacque: lo Studio 54 riaprirà poi a settembre del 1981 per altri 5 anni ma tutti diranno senza lo stesso carisma e iconicità della prima fase. Quello che colpisce è che la gente poteva andare e capitava accanto alle celebrità, Liza (Minnelli), Diana (Ross), Bianca (Jagger), erano le star che si mescolavano con le persone comuni. Questo succedeva perché era molto difficile entrare. Rubbell usciva fuori dal locale e prendeva le persone senza molto criterio, non era importante lo stile ma intuiva le persone più adatte per una data serata. Siccome gli avventori per far colpo si preparavano per giorni per poter accedere, tutti sembravano speciali lì dentro.
Ci sono stati degli emuli in giro per il mondo?
Certo, lo Studio 54 diede avvio a un genere. Ma c’era anche chi faceva altro. Il CBGB è stato un altro posto a New York che ha dato i natali ai punk dell’America, a Browery Street. Ma lì ci suonavano Blondie, Television, Ramones e non c’era lo psicologo delle masse, come lo chiamiamo noi studiosi di quell’epoca, ovvero il dj che riusciva a captare i gusti del pubblico. Xenon era un altro club che era imbattibile per i neon e anche i disegni all’avanguardia. Neon e mirror ball infatti sono tipici della Disco. Si capirà meglio che clima c’era con l’arrivo della mini-serie su Netflix dedicata al famoso stilista americano Halston, che negli anni Settanta era presenza fissa allo Studio 54. Lo interpreterà Ewan McGregor.
Cosa fece tramontare la location?
Sono passate da lì tutte le celebrità, dalla politica, cinema, moda, se non c’eri non eri trendy. Per questo il locale aveva anche molte avversioni, Steve Rubbell dichiarò che la discoteca faceva più soldi della Mafia, e i detrattori e gli impresari tentarono di attaccarlo. Ovviamente divenne un bersaglio facile perché i titolari non si erano tutelati con uno stile di vita così trasgressivo, furono travolti dai problemi fiscali. E non bisogna dimenticare che la disco fu avversata perché molti dicevano che era molto libertina. L’episodio della Disco Demolition Night, nel luglio del 1979 al Comiskey Park di Chicago degenerato in sommossa, fu un duro colpo. Tante persone che furono istigate a bruciare in pubblico i dischi Disco fecero capire quanta rabbia ci fosse attorno al movimento.
Che relazione c’era tra Giorgio Moroder e la Disco Music agli inizi?
Moroder odiava ballare e non gli piaceva la nightlife, gli piaceva creare l’atmosfera. Non gli piaceva comparire, infatti si nascondeva dietro gli occhiali da sole. Dalle ricostruzioni, pensiamo che il grande produttore che tutti si immaginano sempre presente allo Studio 54, in realtà ci sia stato solo una volta sola c’è stato. Lui fu però l’artefice del successo di Donna Summer, prima con la hit ‘Love to Love You Baby’ del 1975 e poi con la celeberrima ‘I Feel Love’ uscita nel 1977. Finalmente il genere approdò nella coscienza delle masse con la famosa copertina di Newsweek ‘Disco Takes Over’ (la disco prende il sopravvento).
Come era nato il sodalizio Moroder-Summer?
Con ‘Son of my father’ Giorgio aveva provato a fare il cantante, poi a Monaco di Baviera con Pete Bellotte aveva scoperto Donna Summer. Oltre alla sua voce soul, la diva scriveva anche i testi, da sola o con Bellotte, e assieme sono esplosi con il primo successo ‘Love To Love You Baby’ nel 1975 che ha dato il via alla disco music. Si sono inseriti in una corrente che stava nascendo con una connotazione delineata ma non di dimensioni planetarie. Era prima una disco afro-americana, Moroder ha inaugurato una corrente elettronica che partiva dalla matrice nere e ha fuso le due anime. Con la macchina e la voce soul di Donna Summer, il primo. Questa combinazione è stata esplosiva, e hanno creato una tendenza.
Moroder ha poi creato tesori del pop che hanno vinto anche l’Oscar. C’è ancora un legame tra lui e la Disco?
Lui è uno di quelli come Nile Rodgers degli Chic che non rinnega e lo valorizza il suo passato. È uno che ha difeso il genere, e in anni recenti ci è anche tornato. Con il duetto con i Daft Punk nel 2013 e il suo primo album dopo tanto tempo, DeJa Vu nel 2015. Tutti ora aspettano cosa farà con i Duran Duran, perché questa alleanza si è aspettata da tempo e finalmente quest’anno si vedranno i frutti.
Secondo te quando in che stato è la Disco oggi?
Direi in ottima salute. Pensa che all’epoca del boom molti nell’industria la volevano relegare a fenomeno underground per riposizionare il rock dall’alto. Ma ormai la Disco aveva contaminato tutto, come insegnavano i successi di Rod Stewart e Rolling Stones, e come hanno indicato i movimenti successivi che hanno attinto al genere. Penso dalla dance al synth pop.
In apertura: la copertina di “La storia della Disco Music” Hoepli e il logo designed by Gilbert Lesser di Studio 54.
Per approfondimenti sulla Disco Music, la nostra intervista a Giovanni Savastano qui: www.thewaymagazine.it/society/amii-stewart-a-lecce-per-il-libro-sulla-disco-music-di-giovanni-savastano/