La passione per l’arte tra le due guerre del Ventesimo secolo, Giuseppe Iannaccone la spiega così: “L’umanità più spontanea emerge maggiormente inmomenti difficili, perché è allora che ognuno di manifesta per quello che è“.

E quindi alla mostra alla Triennale di Milano le 96 opere dell’avvocato milanese, intitolata “Italia 1920-1945. Una nuova figurazione e il racconto del sé” (a cura di Alberto Salvadori e Rischa Paterlini) si fa un vero transit temporale assieme al collezionista illuminato. Le sue scelte parlano per lui, si capisce che la ricerca dell’evoluzione dell’umanità in questo percorso è un cardine. Pertinente anche il luogo in cui avviene ciò, quel palazzo della Triennale di Milano costruito nel 1933 proprio con un capitale donato al Comune di Milano da un senatore (Antonio Bernocchi) che voleva dare alla città un palazzo d’esposizioni moderne.
“Non ho vissuto personalmente quel periodo – spiega il collezionista – e a parte Aligi Sassu e Ernesto Treccani non ho conosciuto questi artisti. Ma mi pare di conoscerli tutti, con il loro carattere, le loro debolezze“. Li chiama “miei artisti”, gli artefici di queste opere magnifiche che ora sono a disposizione di tutti in esposizione. Ovviamente c’è Renato Guttuso, uno dei più ammirati, ma anche il veneto Renato Birolli che dipinge la grande Milano della trasformazione industriale, Arnaldo Badodi, Scipione e Mafai.
Iannaccone non ammira l’astrattismo, e si capisce dalle scelte che ha fatto: un arco temporale che va dal 1920, anno del dipinto L’attesa di Ottone Rosai, al 1945, con Il postribolo di Alberto Ziveri. La raccolta riunisce opere di artisti che hanno sviluppato, durante il venticinquennio, visioni individuali e collettive controcorrente rispetto alle politiche culturali di ritorno all’ordine e classicità monumentale novecentista.
Il concetto di espressione individuale fa da collante ai lavori: dalla poesia del quotidiano di Ottone Rosai e Filippo De Pisis all’espressionismo della “Scuola di via Cavour” (Mario Mafai, Scipione, Antonietta Raphaël), dal lavoro di scavo nel reale di Fausto Pirandello, Renato Guttuso e Alberto Ziveri alle correnti tonaliste degli artisti del gruppo dei “Sei di Torino” (Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio) e del “Chiarismo lombardo” (Angelo Del Bon, Francesco De Rocchi, Umberto Lilloni), sino alle forze innovatrici dei pittori e scultori di “Corrente” (Ernesto Treccani, Renato Birolli, Aligi Sassu, Arnaldo Badodi, Luigi Broggini, Giuseppe Migneco, Italo Valenti, Bruno Cassinari, Ennio Morlotti).
A chiudere la mostra “l’atmosfera irrespirabile” de Il Caffeuccio di Emilio Vedova che, travolto da una rabbia che sarebbe presto sfociata nella partecipazione alla Resistenza, segna un punto di non ritorno.
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Nella foto d’apertura: Giuseppe Iannaccone davanti a un quadro di Emilio Vedova.