Secondo l’artista Jean Tinguely (1925-1991), “viviamo in una civiltà su ruote“. Ancora oggi, le nostre vite sono modellate in gran parte dal rapporto tra uomo e macchina e dalle conseguenti dipendenze che Tinguely ha decostruito con tanto gusto. Ora, per la prima volta dalla fondazione del Museo Tinguely, progettato dall’architetto ticinese Mario Botta a Basilea, inaugurato nel 1996, la sua collezione ampliata delle opere torna nella grande sala. Lì i visitatori da questo mese possono scoprire le prime opere intricate e poetiche, gli avvenimenti esplosivi e le collaborazioni degli anni ’60 e le opere musicali, monumentali e cupe dell’ultimo periodo di Tinguely. Le opere sono tutte presentate in un tour divertente e ricco di eventi.
La nuova mostra permanente focalizza l’attenzione anche sulle performance e sugli happening di Tinguely e sui progetti congiunti che ha progettato e realizzato con i suoi amici artisti. Lo portarono fuori dal suo studio, da Parigi via Londra a New York e nel deserto del Nevada, da Stoccolma via Milano e Milly-la-Forêt fino a Basilea.
Il percorso di schizzi, fotografie e riprese cinematografiche, nonché frammenti sopravvissuti, sottolinea la diversità e l’ingegnosità del lavoro di Tinguely. Le sue mostre e i suoi progetti erano sia divertenti che provocatori, oltre a sfidare le convenzioni della storia dell’arte. Come punto culminante speciale, nel museo oggi c’è un’opera chiave degli anni ’60 visibile per la prima volta in oltre vent’anni. L’Éloge de la Folie esemplifica le numerose collaborazioni in cui Tinguely è stato coinvolto.
Come un gigantesco gioco di ombre, il famoso treno di ingranaggi nero piatto che misura 5 x 7,5 metri è illuminato da dietro in modo accattivante. In origine, l’opera faceva parte della scenografia di un balletto con lo stesso nome, presentato in anteprima al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi nel 1966. A quel tempo, un ballerino metteva in moto le ruote dentate pedalando. Oggi questo compito è svolto da un motore elettrico, ma la reciproca dipendenza tra uomo e macchina è espressa poeticamente da una sagoma umana.
Oltre alla scultura walk-through Grosse-Méta-Maxi-Maxi-Utopia (1987), la nuova mostra permanente vede anche macchine musicali come Fatamorgana – Méta-Harmonie IV (1985) e Méta-Harmonie II (1979) reclamare il loro posto nello spazio aperto della sala che fu progettata dall’architetto Mario Botta appositamente per ospitare le grandi opere di Tinguely. Le diverse sculture sono messe in movimento in sequenza, permettendo ai visitatori di sperimentarle in azione una dopo l’altra.
STORIA D’ARTISTA – Nel 1960, Tinguely, che si era spostato a Parigi a inizio anni 50, si unì ad altri artisti nei Nouveaux Réalistes, un movimento dedicato a superare il divario tra arte e vita. Allo stesso tempo, Tinguely iniziò a realizzare opere con rottami metallici e materiali di uso quotidiano. Nella mostra permanente, queste opere sono giustapposte alla successiva serie di sculture nere da lui realizzate a partire dalla metà degli anni ’60. Dipingendo le sculture di nero, Tinguely ha spostato l’attenzione dai singoli elementi che compongono le macchine ai diversi tipi di movimento inscritti in esse, che vanno dal leggero ed elegante al pesante e martellante.
La prima sezione della nuova mostra mette in risalto l’inventiva e l’innovatività di Tinguely, mettendo in evidenza le sculture in filo metallico e i rilievi degli anni ’50 che hanno stabilito la sua reputazione di pioniere dell’arte cinetica. La sua svolta arrivò nel 1959 con le trafilatrici Méta-Matic. Coinvolgendo il pubblico, ha messo in discussione non solo le definizioni convenzionali di opera d’arte e artista, ma anche le strutture del mercato dell’arte capitalista.
Per la prima volta dalla fondazione del Museo nel 1996, è stata creata una nuova mostra permanente sulla base della propria collezione in continua crescita. Integrato da prestiti di opere chiave, offre una panoramica completa dell’opera di Tinguely che prende come filo conduttore la sua affermazione “La roue = c’est tout”: oltre ad essere un tema ricorrente nella sua carriera, la ruota rappresenta anche la sua convinzione che i tempi che cambiano dovrebbero trovare espressione nell’arte.
Fotoservizio di Gianni Foraboschi per The Way Magazine, Basilea, 2023.