1 Gennaio 2019

Le videocassette, a 20 anni dal regno del VHS la mostra a Bologna

Opificio Ciclope, Fluid Video Crew, Ogino Knauss, Sun WuKung, OtoLab gli artisti coinvolti. E tanta nostalgia su un periodo vicino.

1 Gennaio 2019

Le videocassette, a 20 anni dal regno del VHS la mostra a Bologna

Opificio Ciclope, Fluid Video Crew, Ogino Knauss, Sun WuKung, OtoLab gli artisti coinvolti. E tanta nostalgia su un periodo vicino.

1 Gennaio 2019

Le videocassette, a 20 anni dal regno del VHS la mostra a Bologna

Opificio Ciclope, Fluid Video Crew, Ogino Knauss, Sun WuKung, OtoLab gli artisti coinvolti. E tanta nostalgia su un periodo vicino.

Il modernariato ormai abbraccia anche fenomeni che teniamo sepolti nella memoria pre-2000. Un tempo che in realtà non è lontanissimo ma lo sembra. Le VHS sono le videoregistrazioni di una società che appare lontana, un soffio prima dell’avvento del digitale nelle nostre vite su larga scala. Allineate sugli scaffali più alti, sdraiate in scatole di cartone, nude e baciate dalla polvere, a centinaia di migliaia venti anni di registrazioni su nastri VHS attendono quietamente che una nuova polarità, una carica statica, l’attrito inesorabile del tempo conceda loro l’oblio, la smagnetizzazione.
Venti anni, circa, durò il regno del VHS e venti anni, circa, ci separano da quel periodo.
In quei nastri, oltre ai Bellissimi di Rete 4, alle partite di Italia 90, ai film de l’Unità ci sono anche contenuti originali, il sogno elettronico di una stagione in cammino tra l’analogico e il digitale, montaggi che raccontano di un metodo produttivo, un esito estetico, un’utopia collettiva.

La mostra allestita alle Terme di Diocleziano a Roma mostra video artistici di collettivi che hanno operato prima del digitale, lavorando con hardware estinto e con i primordi del software, iniziando un faticoso discorso tra simili e un difficile dialogo con la televisione.
All’opposto del termine ‘Digital Native’ secondo il saggio di Mark Prensky presistevano i ‘Digital Immigrants’.
Il digitale ci viene raccontato come un luogo fisico, una geografia, una terra promessa verso la quale qualcuno è salpato perché altri vi nascessero.
I ‘Digital Immigrants’ che arrivarono su queste coste con i loro VHS venivano da un mondo macchinoso fatto di hardware, di formati molteplici, di esperimenti fatti sciogliendo e coagulando il segnale elettronico; un mondo in cui esisteva ancora il rumore.

Mentre l’industria visiva si definiva magnetica, elettronica e multimediale evocando eidomatica, accelerando poligoni e quantità logaritmiche, una generazione si mise ad accumulare tutta la tecnologia a basso costo disponibile, a deprogrammarla e riprogrammarla cercando di infondere vita ad ogni singolo pixel, a mano, con ogni mezzo necessario.
Bassi formati, bassa fedeltà, tecnologie – giocattolo. Nel 1980 Alvin Toffler aveva previsto una mediasfera dove il ruolo di produttore e consumatore avrebbe cominciato a fondersi e confondersi in nuova figura: il “prosumer”.
Per il video avvenne in quegli anni, i cinque anni prima della fine del millennio, del secolo, del VHS, gli anni dal 1995 al 2000 vedono una simultaneità italiana di produzioni a tecnica mista, un ricorrente confluire del performativo, di videografica, mixed media, tecniche di animazione, accostamento di camere eterogenee.

Opificio Ciclope, Fluid Video Crew, Ogino Knauss, Sun WuKung, OtoLab sono i nomi degli artisti coinvolti.
Il marchio collettivo, il gruppo (crew, lab) sembrava essere una strategia necessaria e inevitabile.
Tutti questi gruppi hanno materialmente, fisicamente, costruito schermi di proiezione nelle loro rispettive residenze (Link Project, Forte Prenestino, CPA ExLonginotti, Garigliano, Pergola).
Era un mondo che non consumava video all’infuori della televisione.
Un mondo senza bacheche, senza chat. Un mondo senza YouTube. Un mondo senza tutorial.
Le macchine potevano essere connesse ma non potevano dialogare, macchine celibi e stupide che andavano usate eversivamente, molto al di là del libretto di istruzioni.
I computer parlavano a fatica con i videoregistratori. Con l’unica eccezione del Commodore Amiga che permetteva un campionamento delle immagini c’erano pochi ingressi e ancora meno uscite oltre ai floppy disk per scambiare files txt.


Eppure connettere segnali oltre il diagramma previsto era un obbligo espressivo che era necessario sperimentare.
Macchine che era comunque possibile collegare: vecchie camere Saticon, mixer video AV5, registratori VHS, videocamere Hi8, modulatori di frequenza, cineprese super8, camere di controllo, titolatrici, genlock Amiga, una decina di connettori, molti metri di cavi.

Questo incontro di video, animazione, mix delle fonti in diretta era un allenamento costante; producevano sia un risulatato installativo che performativo. Erano soprattutto un progetto di design dello spazio, di infografica e di confezione.

VHS+

video / animazione / televisione e/o indipendenza / addestramento tecnico / controllo produttivo

1995 / 2000 MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna

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