Potrebbe fare un’intera serie sui monumenti italiani e non stancarsi della tanta bellezza che ci circonda. Ci voleva la sensibilità di un cinese, l’artista Liu Bolin, per farci capire quanto ancora si può fare mettendosi a confronto con le opere d’arte che popolano le nostre strade. L’artista camouflage, per certi versi, è un autentico scopritore di vedute e scorci. Si mette davanti ai monumenti, ne ricrea alcuni profili, se li disegna con precisione mimetica addosso e sui vestiti e dopo ore di preparazione scata delle foto minuziose.
Ovviamente non ci sono trucchi o post-produzioni. E per questa straordinarietà della sua opera, Liu Bolin è stato invitato a esporre al Mudec, il Museo delle Culture di Milano, sempre attento ai dialoghi tra realtà che sembrano lontane. Nel nuovo spazio centrato sulla fotografia, Mudec Photo, Bolin entra nel dialogo delle collezioni del museo e gli approfondimenti culturali de Mudec. Perché in esposizione ci sono anche dei lavori che lo ritraggono davanti ad alcuni manufatti etnici conservati proprio al Mudec.
La mostra “Liu Bolin. Visible/unvisible” rivela diversi inediti come la foto davanti la pietà del Rondanini e la mostra fatta nei depositi del museo: lì l’artista è stato con i conservatori del museo per due giorni a trovare il set giusto per una nuova produzione. Senza bere, né mangiare, come fa di solito per rimanere fermo per ore nello stesso posto mentre i suoi assistenti gli dipingono addosso la realtà. Senza esigenze corporali la sua disciplina è militaresca, quasi. “In effetti – dice lui alla platea accorsa a incontrarlo stamane al Mudec di via Tortona a Milano, tra cui anche un entusiasta Fabio Novembre, il famoso designer -spesso uso delle mimetiche nei miei scatti. Avevo due sogni da bambino, quello di diventare artista e militare e quindi le ho realizzati entrambi”.
A chi lo accusa di accrescere solo un personal branding con le sue performance, l’artista ha risposto: “Meglio avere un brand conosciuto di questi tempi, che non averne uno”.
Una provocazione che la dice lunga sul desiderio dia ffermazione dei creativi cinesi della sua generazione. Nato nel 1973, quando è caduto Mao aveva solo tre anni e quindi tutta la vita da adulto l’ha probabilmente spesa a inseguire sogni di libertà di espressione. E per questo si fanno infinite speculazioni sul messaggio di queste opere che destano incredulità, ancora di più se in occasioni come questa del Mudec, addirittura si va dentro la realizzazione delle stesse. Si capisce perché usa quel tipo di vestiti e di pitture corporee.
I curatori dicono: le immagini fanno parte di un gesto di ribellione e ricerca propria identità. Liu Bolin sembra più in verità volersi accaparrare di una storia che per anni ha inseguito, più che contrastarla. Questo vale per le foto dei monumenti. Per quelle davanti agli scenari apocalittici di macerie e distruzioni, la ribellione è semmai contro la dimenticanza.
“L’Italia – ha spiegato l’artista – ha molto rispetto per la storia e la grande differenza con la Cina è che qui viene tutto conservato in maniera maniacale, mentre in Cina si distrugge tutto in questi anni. Ed è per questo che ogni paio d’anni torno da voi per ispirarmi e trovarmi nuovi set da fotografare”.
La serie degli scaffali fa rivedere degli sfondi famigliari come scaffali ricolmi nei supermercati o edicole: anche lì per testimoniare l’estraniamento e l’indecisione che troppo consumo comporta, una bella performance mimetica ci restituisce Liu Bolin nel suo momento di maggior ribellione: il suo corpo risulta pienamente integrato con lo sfondo, immobile, impossibilitato a dominare il consumo e quasi immerso passivamente in esso.
Luoghi emblematici, problematiche sociali, identità culturali note e segrete: Liu Bolin fa sua la poetica del nascondersi per diventare cosa tra le cose, per denunciare che tutti i luoghi, tutti gli oggetti, anche i più piccoli, hanno un’anima che li caratterizza e in cui mimetizzarsi, svanire, identificarsi nel Tutto: una filosofia figlia dell’Oriente, ma che ha conquistato il mondo intero, soprattutto quello occidentale.
Le fotografie di Liu Bolin hanno diversi livelli di lettura, oltre l’immediatezza espressiva. Dietro lo scatto fotografico che si conclude in un momento c’è lo studio, l’installazione, la pittura, la performance dell’artista: un processo di realizzazione che dura anche giorni, a dimostrazione di come un’immagine fotografica artistica non sia mai frutto di un caso, ma la sintesi di un processo creativo spesso complesso, che rivela la coscienza dell’artista e la sua intima conoscenza della realtà in tutta la sua complessità.
È una lettura della performance fotografica che lo spazio MUDEC PHOTO accoglie in pieno, non limitandosi così a ospitare solo mostre fotografiche canoniche, ma allargando lo sguardo anche al mondo della fotografia ‘prima dello scatto’, a quell’universo di ricerca preparatoria che è essa stessa performance artistica, coinvolgimento emotivo, attesa dell’attimo perfetto, concentrazione intima e lavoro di squadra; e infine, scatto.
Il corpo di Liu Bolin al Mudec poi scompare nelle foto delle Nazioni Unite con le bandiere, un altro gesto a sfondo sociale: “Dal 2005 ad adesso ho fatto molto più painting che scultura, e voglio proseguire con la mia serie Target a far partecipare molte persone nelle mie foto. La mimetizzazione nelle bandiere voleva dire che in fondo siamo tutti figli di una sola cultura che ne abbraccia molte”.
A febbraio, nel Museo della Pietà Rondanini nel Castello Sforzesco a Milano, in occasione del MONTENAPOLEONE CHINESE NEW YEAR, evento creato per la prima volta da c Nella performance milanese Liu Bolin si è confrontato con il genio della scultura rinascimentale Michelangelo, mimetizzandosi con l’ultimo dei capolavori del maestro toscano, la Pietà Rondanini, mentre a Roma è “scomparso” tra i capolavori pittorici della Galleria Borghese. In entrambi i casi, misurandosi con i capolavori di due dei massimi esponenti dell’arte italiana l’artista cinese ha messo in risalto nuovamente le bellezze del nostro Paese, perché siano apprezzate da un vasto pubblico cosmopolita grazie al suo rilievo internazionale. Infatti, dalle due performance sono nate due nuove opere dell’artista che si vanno ad aggiungere alla celebre serie Hiding in Italy.
MILANO – Dal 15 maggio al 15 settembre il performer cinese della fotografia mimetica al Mudec. MUDEC PHOTO ospita la seconda mostra fotografica dalla sua apertura a oggi (l’opening è stata di Steve McCurry) e affida a Liu Bolin il compito di raccontare la sua arte in prima persona, con una performance appositamente creata per il MUDEC e soprattutto con una mostra “Visible Invisible”.
ROMA – Fino al primo luglio il Complesso del Vittoriano, nella Capitale, ospiterà la mostra ‘Liu Bolin the Invisible man’. Liu Bolin, l’artista di origine cinese e definito ‘l’uomo invisibile’, ha raggiunto la fama internazionale come colui che ha fatto del camouflage il suo tratto distintivo. Rimanendo immobile come una scultura vivente, Bolin integra il suo corpo con il contesto alle sue spalle grazie a un accurato body-painting e infine si fa fotografare. Nell’Ala Brasini del Vittoriano saranno così presentati al pubblico una serie di scatti realizzati nel 2017 tra i marmi dell’Anfiteatro Flavio e le forme barocche della Reggia di Caserta, insieme a 70 fotografie frutto di dieci anni di lavoro in collaborazione con la Galleria Boxart.
Il primo impulso trasposto nelle fotografie di Liu Bolin, che possiamo dividere in ‘serie’ sulla base del tema affrontato o del luogo oggetto dell’attenzione artistica del performer, è stato la ribellione nei confronti delle autorità, che nel 2005 stavano demolendo il suo studio nel Suojia Arts Camp per far spazio al progresso e al nuovo che avanza, distruggendo però tutto il mondo alle spalle dell’artista, e quindi anche la tradizione e l’identità di un popolo. Nasce la serie Hiding in the city, esposta in mostra.
Liu Bolin prosegue nella ricerca sulla sua vita e sui punti in comune con le vite degli altri, i temi sociali che racchiudono i luoghi da lui visitati e l’impatto del proprio messaggio artistico sulla società. Individuare dunque lo spazio giusto diventa fondamentale per comunicare il messaggio. È il caso della serie Hiding in the rest of the world, e soprattutto Hiding in Italy (2008-2019) dove all’importanza del luogo si aggiunge l’attenzione al confronto tra la visione della cultura orientale e quella occidentale, dove Cina e Italia rappresentano per l’artista le due culle della cultura rispettivamente asiatica ed europea, a cui si unisce il particolare amore e rispetto per il Bel Paese e l’attenzione che in generale l’Occidente presta alla conservazione della cultura.
In mostra anche le fotografie del ciclo Shelves, “scaffali”: di fronte a lunghe distese di scaffali di supermercati, colmi di beni di largo consumo, luoghi banali e tipici della nostra quotidianità, Liu Bolin scompare tra scatolame e verdure, evocando un’immagine forte, ossessiv.
Tra le fotografie più celebri, anche il ciclo Migrants – tema particolarmente caro al MUDEC – dove Liu Bolin ha coinvolto altri performers, ovvero dei rifugiati ospiti di alcuni centri d’accoglienza in Sicilia. In questo caso, l’identificazione con lo sfondo lascia il posto alla spersonalizzazione dell’io e di un popolo, che non ha più volto se non quello della disperazione umana e della denuncia sociale.
In mostra infine anche gli abiti dipinti usati per la realizzazione degli scatti e video documentali.