La voglia di dancefloor e festeggiamenti, in un momento particolarmente duro per tutte queste attività, ha contagiato Mario Biondi. Che continua la sua opera di contaminazione del suo repertorio con altri mondi fuori dal soul e jazz dove solitamente lo si è sentito cantare. Questo perché Mario Biondi a 50 anni “vola”, letteralmente, anche sulla copertina del suo nuovo album “Dare”, undicesima uscita in totale della sua discografia, realizzata da Paolo De Francesco. La foto ritrae il soul man con alle spalle il celebre murale “alato” di Colette Miller, visual artist e performer nativa di Richmond (Virginia) che vive a Los Angeles, autrice del progetto “Angel Wings”.
Il nuovo disco di Biondi, voce siciliana “trapiantata” a Parma, è denso di inediti (10), cover (4) e finanche due remix del pezzo di lancio, Cantaloupe Island con la partecipazione del leggendario piano di Herbie Hancock. “Strangers in the Night”, resa celebre da Frank Sinatra, è uno degli highlight della raccolta di canzoni. Altri brani di punta sono “Jeannine” di Eddie Jefferson e “Someday We’ll All Be Free”, rivisitazione in chiave jazz dell’inno soul di Donny Hathaway.
Mario, come ti senti a tornare nel giorno del tuo compleanno in un momento in cui non ci si può esibire dal vivo?
Ho una band che mi sostiene da 10 anni. Per tutti noi non è semplice cantare senza pubblico davanti. Ora ci sono incertezze anche sul Festival di Sanremo che è sempre circodato da tante chiacchiere. Mi auguro che chi di dovere capisca quale è il margine per avere un festival della musica italiana con il calore che merita, perché non vorrei farne a meno, voglio vederlo, sono italiano e ci tengo.
Come si potrebbe uscire da questo empasse dove non si può avere assembramento di persone in presenza di uno show?
Qualcosa che appaghi l’occhio ci vuole, specie se si tratta di uno show televisivo. Direi pochi ma buoni ma spesso a Sanremo soprattutto c’è un pubblico che non è particolarmente attivo nei confronti dell’artista, perché chi è seduto lì in platea appartiene a fasce istituzionali del Paese. Non è facile cantare una canzone inedita davanti a nessuno, anzi, spesso il pubblico te la fa cantare bene.
Che ricordo hai del tuo Sanremo?
Ho molti bei ricordi del 2018: essere stato in una delle ultime serate con Ana Carolina ed essere uscito dopo Gino Paoli sul palco è un’emozione che non dimenticherò facilmente. Il risultato non aveva importanza, non mi aspettavo nulla se non, forse, attenzione dalla critica. Il pubblico nelle prime sere mi aveva portato nei primi 10, quindi questo significa che non c’è più una non accettazione di un genere di musica. L’Italia è regina della musica tutta.
Perché il nuovo disco si chiama “Dare”?
Dare vuol dire anche osare. Grande sincronia dall’inglese all’italiano in questa parola. Sono due significati che non ho mai scisso, così come non ho avuto mai separazione tra il Mario sul palco e quello nella vita.
Con che piglio affronti le cover?
Ho osato con “Strangers in the night”, perché dopo aver sentito quello che aveva fatto James Brown, che era davvero matto, solo lui poteva permetterselo, non volevo superare quello ma fare il mio. La musica non ha steccati, non ci sono etichette da rispettare. Per questo nello stesso disco metto assieme Il Volo in “Crederò” e Herbie Hanckock.
Come hai vissuto questo anno di lontananza dai palchi?
Mi sono trovato incastrato nella poca fluidità dell’anno e mi sono rimesso in allenamento con la musica. Ho lavorato al Temple studio di Parma, una soluzione che funziona benissimo perché è un posto valido e non dovevo andare a cercare cose fuori quando ce l’avevo sotto casa.
Chi sono gli amici che hai ritrovato per questo disco?
Gli High Five Quintet di Fabrizio Bosso, senza dubbio, perché con loro sono rimasto sempre in buoni rapporti, ci sono frequentazioni che vanno al di là della musica. E poi c’è l’amicizia con Jean-Paul “Bluey” Maunick, unico componente del progetto funk soul jazz Incognito . Io sono un fan della sua musica dalla fine degli anni Ottanta, ci ripromettiamo da anni di fare un tour americano assieme, ma non ce l’abbiamo mai fatta. Ma è bello che il mio percorso ogni tanto incontri il suo.
Hai rimpianti?
Tra quelli passati, non essere stato di più sul palco con Pino Daniele, che è davvero colui che mi ha fatto capire come incuneare la sua voce nella melodia. Dovevamo fare un tour assieme, ma poi la vita ha deciso di renderlo immortale. Tra i recenti, questo Covid mi ha tolto amicizie, persone amiche che ho perso e che ora sono sempre nei miei pensieri. Mi ha anche tolto il palco, ma mi ha dato la mia famiglia e più tempo. Sto imparando ad accettare tutto quello che mi succede, non devo dare troppo scontato il poter cantare in futuro.
C’è anche un momento rock in questo disco. Ce ne parli?
“Simili” contiene la partecipazione di Dodi Battaglia. Il testo di questo brano è stato scritto interamente da ne e dal punto di vista musicale è un pezzo che va a sperimentare territori nuovi, grazie ad una produzione ricercata e alla chitarra del grande Dodi che ha voluto essere ospite e lasciare una traccia rock all’interno di questo progetto.
Fotografie di Alessandra Fuccillo presso Ruote Da Sogno, Reggio Emilia