Nell’anno della Brexit, il più promettente cantautore d’Italia, Motta, ha invece tolto dalla cartina l’Italia. Il ragazzo livornese, che ha vinto con il suo “Vivere o Morire” la Targa Tenco 2018, presenterà al prossimo festival di Sanremo 2019 la canzone “Dov’è l’Italia”. “Non è un discorso politico – ci precisa prima di partire per la città dei fiori – ma sociale, il filo conduttore tra Lampedusa e New York, due luoghi che amo. Io l’ho trovato, cercando di far vedere nello stesso modo il mio disincanto, quello di mio padre, che è parte di questo pezzo, e tanta speranza verso l’essere umano. Stavo pensando che per forza di cose devi avere fiducia nelle persone, quindi anche se è un ossimoro, è un disincanto malato, voglio continuare a viaggiare, voglio avere a che fare col diverso perché è questo quello che mi tiene in vita. Ed è anche una speranza che le cose possano andar meglio. Non è una domanda questa canzone, ma sento la responsabilità d’esserci”.
Una grande presa di posizione, non c’è dubbio, perché la canzone non è solo sul tema migranti, ma è un passo in avanti importante per chi nel cantautorato crede anche in tempi in cui a volte ai cantautori viene rimproverato di non essere solo dediti “all’evasione”.
Motta, classe 1986, dice che non farà una riedizione del suo disco trionfale del 2018 ma uscirà nel 2019 solo con questa canzone. “Come tema umano i migranti ci sono, ma non c’entra la politica. Il nostro è un paese malato perché è un paese maleducato, parlo di mancanza di educazione civile, c’è violenza”.
Con il polverone che hanno sollevato le parole in difesa dei migranti pronunciate da Claudio Baglioni, direttore artistico del festival per la seconda volta, Motta rischia pure che il vortice dei “commenti” travolga la sua musica: “Ho paura anche che non venga compresa ma avrei paura di tante cose ed esco di casa, dico come la penso. È stato strumentalizzato anche Claudio Baglioni, ha detto qualcosa di umano, abbiamo la curiosità verso il diverso. Queste sono cose che mi hanno insegnato i miei genitori ma se le cose belle e ovvie vengono nominate come retoriche, la preoccupazione è in qualcosa di più grosso che il fraintendimento di una canzone“.
Come intende Motta il cantautorato, oggi? “Deve dire la verità e deve trovare una sintesi e cercare di arrivare a descrivere quello che succede. Devo scrivere canzoni che comunque non risultino un passo indietro. Oggi è questo il rischio, perché quando prendi posizione non sei ben visto. Vince chi non dice niente e io non sono così. Io ho fatto due dischi, quando sono partito avevo la ricerca dell’essere basata sui no e sul cercare i nemici. Poi ti accorgi che rimani solo senza nemici e resti con la solitudine ed è allora che devi andare fuori e vivere. Ovvio, oggi il mio primo disco, La fine dei vent’anni, mi emoziona come ricordo, mi sento sempre in ritardo ma il parcheggio l’ho sempre trovato“.
Per un festival che si fa (“Non ho mai pensato che Sanremo fosse nemico, sono un cantante italiano e voglio essere qui”), ci sono tante cose a cui rinuncia. Non ci saranno nel suo 2019 Les Filles des Illighadad, il gruppo femminile del Niger con cui ha fatto un applaudito tour autunnale. “Non ci saranno per problemi di visto. E non ci sarà un disco, un repack del precedente, anche se so che è un suicidio commerciale. Per me è importante anche la scaletta, le canzoni hanno significato anche con quello che c’è prima e dopo. Non c’era motivo per rimischiare le carte”.
“Dov’è l’Italia” quindi è l’inizio di un nuovo disco “che non so quando uscirà. È senza punto interrogativo perché odio la punteggiatura quando scrivo i testi, ho voglia di immaginarmeli i punti”, dice Motta.
Che, per inciso, nonostante il successo e la rodata esperienza live, non è immune da ansia da Ariston: “C’ho un’ansia bestiale, perché mi rendo conto che ho fatto tanti concerti, un palco come quello però mette più responsabilità. Voglio andare a casa delle persone che non mi conoscono, sono stato già a Sanremo per il Premio Tenco e l’altro giorno ci sono tornato per le prove del Festival… giusto la scalinata dietro con le sigarette che mi fumo per nervosismo è uguale poi cambia tutto!”.
Nel mezzo della chiacchierata, Motta si ferma e chiede ai giornalisti: “Ma voi la chiamate ancora musica indie?”. E poi: “La situazione cambia con Sanremo, ma vado a fare quello che ho sempre fatto, devo fare ancora di più, ovviamente, anche perché se dovessi scegliere una canzone del mio repertorio, sceglierei questa a rappresentarmi tra tutte quelle che ho fatto. Ho già pensato al video. Non crediate che sia solo ansia però, mi sto pure divertendo a prepararmi per Sanremo, ho voglia di spiegarmi. Degli Zen Circus sono contento, condividiamo l’ansia bestiale, anche loro non sono fuori luogo, facciamo musica italiana ed è giusto andarci al festival”.
Motta, che salirà sul palco da solo, dice ancora di non aver scelto il duetto per la serata del venerdì del secondo festival targato Baglioni. “Un anno fa a quest’ora stavo chiudendo il disco ed ero contentissimo, perché l’avevo finito. Ora riascoltandolo mi piace, è un disco giusto nel mio momento giusto, non era proprio in programma Sanremo, con nessuno di quei pezzi sarei andato su quel palco. Ora invece con “Dov’è l’Italia” ci vado perché è proprio come sto io”.
L’inquietudine è parte del suo appeal presso le nuove generazioni. Motta non è un tipo che sorride gratuitamente (“anche se mi è scappata una risata nella foto di Sorrisi e Canzoni nel servizio prima di Sanremo“, puntualizza): “Mi rasserena incontrare belle persone, pensare che un mio figlio sarà diverso, migliore. Un po’ fa parte della malinconia che ci portiamo dietro noi toscani, è liberatorio far vedere come è bello piangere. Qando non c’è il toscano che mette la maschera io sono felicissimo. Ascolto molto Piero Ciampi, devo dire”.
Oggi che vive a Roma ha scritto una canzone che si interroga sull’Italia. Casuale? “Voglio esserci in qualche modo, sento l’urgenza di esserci, sto in una città che è la rappresentazione dell’Italia, sono a Roma ed è bellissimo, anche se nella capitale non si capisce dove si sta andando. A confronto Milano sembra Tokyo e Roma sembra Rio. Devo dire che quando facevo il tecnico del suono 10 anni fa e ho vissuto a Milano, era comunque un’altra città. Le cose sono molto cambiate, e in meglio, per Milano”.