Prende spunto dalla bulimia collettiva che impera in quest’epoca la mostra di Nicola Gobbetto All you can eat, a cura di Andrea Lacarpia, allestita nello spazio di Dimora Artica a Milano fino al 29 luglio 2017.
La galleria milanese presenta la personale (in collaborazione con Galleria Arrivada) che si interroga sulla corsa all’abbuffata metaforica di oggetti, sensazioni e informazioni che ci governa, in un momento in cui la mente dell’uomo tende ad antropomorfizzare lo spazio e gli oggetti che lo circondano. Ecco perché ci sono elementi “alimentari” che assumono altre sembianze nell’allestimento, e anche un tableau vivent che si chiama Grope In The Dark, con un ragazzo intento a riflettere al piano superiore dello spazio, pressocché immobile.
Intitolata All you can eat come i ristoranti dove si può mangiare quanto si vuole a prezzo fisso, l’opera allude all’ipertrofia del desiderio che allontana dalle reali necessità in favore di un mondo illusorio. Una piccola scultura dal titolo Puking mussels (Cozze che vomitano) allude alle funzioni digestive, ricalcando la forma dei molluschi che, funzionando come filtri biologici, sono in grado di assorbire l’ossigeno per la respirazione e di trattenere contemporaneamente il cibo per l’alimentazione, costituita soprattutto da plancton.
Qui l”immaginazione è strettamente connessa alla soddisfazione del desiderio tramite artefatti, sostituti simbolici forniti dalla mente. Dopo aver affrontato, nell’ultimo progetto personale Hands up hands tied alla Galleria Davide Gallo, il tema del percorso iniziatico che porta l’eroe all’autocoscienza, nella mostra in Dimora Artica Nicola Gobbetto concentra l’attenzione sull’atto creativo, in particolare sul momento che precede la genesi di un’idea.
L’innata tensione rinviante che porta l’uomo ad espandersi nello spazio può rendere bulimico il rapporto con il piacere e l’autoaffermazione, in una ricerca della performance maggiore possibile che Gobbetto illustra mettendo sullo stesso piano la sessualità, lo sport e la creazione artistica, uniti dalla necessità di confrontarsi con i limiti del corpo.
Lo spazio di Dimora Artica è interpretato da Gobbetto come un organismo umano in cui il piano terra è il luogo dei processi biologici, un ampio ventre che assimila nutrimento dal mondo esterno, e il soppalco è la mente in attesa di stimoli per creare e rimettere in circolo l’energia vitale.

Le pareti del piano terra presentano un reticolato ortogonale che sintetizza il desiderio di affinamento delle capacità fisiche attraverso il controllo razionale, facendo da sfondo agli oggetti che attendono di essere metabolizzati dalla stanza-stomaco. Un assemblaggio scultoreo presenta un gruppo di integratori utilizzati per migliorare le prestazioni sportive, immaginative e sessuali: un barattolo di proteine sintetiche, delle noci moscate (dagli effetti potenzialmente stupefacenti) e delle pastiglie di Viagra realizzate in polistirene, ingigantite e unite in una ramificazione che ne distorce la forma alludendo all’azione metabolizzante dei succhi gastrici.
A parete, l’opera We’ll never lie to you descrive la dialettica che porta alla ciclicità di ordine e disordine nella vita psichica. Essa è formata da un pannello di legno con stampa effetto marmo e tre palloni da rugbyposti in verticale, dai quali fuoriescono dei bastoncini di incenso fumanti. Il pannello presenta la fusione di due quadrati, di cui uno spezzato a metà collassa sul secondo, rappresentando con forme astratte il disordine che sovrasta l’ordine. I palloni, dalla forma che ricorda gli enigmatici manichini dipinti da Giorgio De Chirico, rimandano alla testa vuota dei fanciulli svogliati che nel Pinocchio di Carlo Collodi finiscono nel Paese dei balocchi, luogo di divertimenti e tentazioni. I nasi d’incenso si consumano con il passare del tempo, rappresentando la volontà di redimersi dal vizio e tornare ad essere sinceri ed onesti. Sul pavimento, una massa di indumenti sportivi sui toni blu ricordano il mare, metafora dello smarrimento nell’inconscio, facendo da supporto a una bottiglia che reca un messaggio sonoro: è una canzone inno all’eroicità dell’essere artista.
La scala a chiocciola che collega i due ambienti espositivi rammenta il legame tra il corpo e la mente, e percorrendola ci si trova davanti a un tableau vivant che è il culmine dell’intero progetto, in cui un ragazzo è in attesa delle energie necessarie per riorganizzare il caos nella propria mente e partorire una nuova idea. Egli siede in una posizione ispirata al Pensatore, celebre scultura di Auguste Rodin in cui le membra chiuse in una posizione tesa e raccolta rappresentano il travaglio interiore del creatore. La parete di fondo presenta lascritta Grope in the dark (Brancolare nel buio), rimarcando il senso di smarrimento che precede la nascita di una nuova idea. Per generare bellezza non si può fare a meno dell’energia proveniente dall’inconscio, come afferma Friedrich Nietzsche nella sua celebre frase: Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante.