30 Aprile 2020

Una passeggiata attraverso la foresta del black metal

La passeggiata trascendentale di Burzum, il rock figlio di un paganesimo mai sopito. E le implicazioni sociali di un movimento controverso.

30 Aprile 2020

Una passeggiata attraverso la foresta del black metal

La passeggiata trascendentale di Burzum, il rock figlio di un paganesimo mai sopito. E le implicazioni sociali di un movimento controverso.

30 Aprile 2020

Una passeggiata attraverso la foresta del black metal

La passeggiata trascendentale di Burzum, il rock figlio di un paganesimo mai sopito. E le implicazioni sociali di un movimento controverso.

EST. GIORNO, FORESTA  

Osserviamo una distesa di enormi aghifoglie che si estende a perdita d’occhio fino all’orizzonte.  La luce biancastra filtra attraverso lo spesso strato di nubi scure, illuminando un paesaggio selvaggio, privo di qualunque segno dell’uomo.  Ci avviciniamo, sfiorando le cime robuste, abbandonando la luce per immergerci nella penombra. 

Udiamo dei passi, poco al di sotto. 

INTRODUZIONE: BLACK METAL 

Che cos’è il Black Metal? Esso è per definizione una versione “buia” del genere più estremo del rock nato dalle prime ondate del punk e del rock degli anni 70 tra la Gran Bretagna e gli USA, evoluto poi nella Wave of British Heavy Metal e l’American Heavy Metal che ne seguì. 

Tuttavia le somiglianze con i suoi parenti “Metal” vanno svanendo già a questo punto. 

Molti attribuiscono l’invenzione del termine alla band Venom, ma essa a conti fatti si distanzia per approccio e contenuti a quello che può essere denominato il contenuto e la forma di quella che è considerata la prima ondata del Black. 

E soprattutto si distanzia per regione geografica di origine della scena. 

Si, perché il Black Metal e la culla culturale in cui si originò sono inscindibili alla radice, e questo punto più di altri lo rende non solo un genere musicale estremo, fatto di distorsioni fuori scala, urli e velocità, lo rende uno specchio opaco e rovesciato del contesto in cui fiorì. 

Se i Venom costituirono la prima ondata del Black Metal nata negli USA, la seconda, che quella di cui andremo a trattare qui, nacque in Europa, e nello specifico in Norvegia, il cui epicentro temporale investì il decennio degli 80 e seguì nei 90, espandendosi così poi in tutta la Scandinavia ed infine nel resto dell’Europa e del mondo. 

Si può dire che nel seme sta già la pianta fatta e finita, così andremo ad isolare il fenomeno del Black Metal proprio in Norvegia a cavallo degli  80’s e 90’s. 

Il nostro attore principale sarà uno dei massimi esponenti di quel periodo e in assoluto, oltre che la figura maggiormente discussa e controversa della cronaca nera norvegese, ossia Varg Vikernes, one-man-band del progetto Burzum. 

Terreno fertile lo offrì la scarsamente popolata Scandinavia, un territorio estremo, luogo di ghiaccio, foreste, fiordi, spazi sconfinati, aurore boreali. 

Ma anche di grande civilizzazione nelle principali città quali la capitale economica e politica Oslo, oltre che Bergen. 

Questa seconda fu il luogo di nascita di Varg Vikernes, nato come Kristian, un nome che ironicamente avrebbe caratterizzato il suo destino. 

Negli anni che seguirono Varg assieme ad altri ventenni, molti dei quali proveniente da un ambiente benestante, divennero esponenti di un genere fatto di rabbia, urla, distorsioni, immaginari tra il satanico e l’anticristiano, finendo per sfociare in alcuni casi in una forma di neo-paganesimo. 

Il risultato fu la trasformazione di quella che era inizialmente nata come una scena musicale in azioni di roghi dolosi di chiese, violenze, in alcuni casi persino omicidi. Ciò preoccupò non poco per la stabilità sociale del paese, tanto da spingere le autorità a teorizzare l’esistenza di un gruppo para-militare, mai realmente confermato, noto come Black Metal Inner Circle 

Indipendentemente dalla veridicità di ogni singolo aspetto, il Black Metal sul finire degli anni 80 divenne un caso senza precedenti che destò l’attenzione dei media e l’attenzione delle istituzioni norvegesi. 

 

PRIMO PASSO: BURZUM E LA PASSEGGIATA TRASCENDENTALE  

Tra i vari esponenti della prima ondata di Black Metal scandinavo figurano moltissimi nomi di band che passarono alla storia, come BathoryMayhem, Celtic Frost, ImmortalDarkthrone 

A costituire un‘identità artistica come singolo individuo fu Varg Vikernes, con il suo progetto pluridecennale Burzum. 

Egli si dedicò a scrivere e registrare tutte le parti strumentali del nuovo progetto sorto dalle ceneri della sua precedente band, gli Old Funeral, gestendo autonomamente tutti gli aspetti creativi del progetto. 

Caratteristica che subito lo distanziò dal resto della scena furono le forti influenze dark ambient ed elettroniche che egli seppe mescolare abilmente assieme al Black Metal più canonico che si andava definendo, fatto da sonorità basate sulle distorsioni ed i ritmi lenti e pesanti. Ma proprio in quest’ultimo punto vi è la congiunzione con la dark ambient. 

Burzum è un caso degno di essere analizzato più di altri proprio perché incarna in modo chiaro tutti gli elementi alla base del periodo in cui il Black prese piede in Scandinavia: rabbia, violenza, estremismo e una certa dose di incoerenza.  

Da questi punti ne derivò una visione totalmente inedita non solo del concetto di musica estrema, ma anche dei contenuti che essa veicola. 

Ma torniamo per un istante indietro. 

 

 

EST. GIORNO, FITTO DELLA FORESTA 

Il suono dei passi si è ormai allontanato quando tocchiamo il sottobosco. Muschi ricoprono le grandi rocce che emergono dal terreno impregnato di umidità, mentre una leggera nebbia occulta i fusti più distanti, facendoli somigliare ad enormi colonne nere.  Come trasportato da una lieve brezza che dissolve appena la nebbia, udiamo sempre più chiaro il suono cardiaco di un tamburo.   Lentamente emerge un canto. Sono voci maschili e femminili fuse in un’unica ipnotica nota continua.  Il fruscio di una fronda mossa dalla brezza fa da contrappunto al coro mentre il ticchettio della lieve pioggia sulle rocce al tamburo, trasmettendo un grande senso di armonia. 

 

INTERMEZZO: SATANISMO E PAGANESIMO 

Esiste una visione popolare, diffusa anche in Italia, del satanismo. Oltre a fatti vari di cronaca nera legati parzialmente a tale generico termine esso si diffuse molto più grazie ad immaginari più o meno stereotipati, carnevaleschi, ma molto spesso diventando vittima di ambiguità e inesattezze. 

E’ importante distinguere, in primo luogo, il satanismo come filosofia dal satanismo come occultismo (definibile anche come “magico”), e proprio questo secondo ha influenzato maggiormente l’immaginario popolare e anche quello del Black Metal. 

La figura di Satana infatti ricorre in ambiti vari, ma che sono uniti dal fatto di essere di derivazione culturale cristiana, come l’opposto di Dio. Mentre nel satanismo filosofico Satana assume un senso simbolico di un‘opposizione ai valori cristiani, esaltando l’individualità, in quello magico esso è in effetti una figura metafisica con le zampe di capretto, le corna e che richiede sacrifici sanguinari. 

Esistono due approcci all’immaginario satanista magico. Al primo attinsero moltissime band già dagli anni 70, si pensi che il primo caso è riconducibile perfino ai Black Sabbath con il loro omonimo primo album che descriveva un sacrificio proprio a Belzebù. Essi però ne fecero dichiaratamente un immaginario da film dell’orrore. In altre parole, non lo presero mai sul serio. 

L’altro approccio, e quà ci avviciniamo al Black Metal norvegese e al secondo punto del capitolo, ossia il paganesimo, fu quello di prendere sul serio tale immaginario.  

Nella scena tra Oslo e Bergen molti furono irretiti da un immaginario fatto di sangue, fiamme e sacrifici, per vari motivi che analizzeremo nelle parti seguenti.  

Ciò provocò principalmente l’esplosione di violenza in Norvegia nei primi anni 90, tutte ad opera di giovanissimi che partirono con semplici dissacrazioni di cimiteri culminando con stupri, omicidi e l’apice simbolico dell’incendio di alcune chiese. 

A questo secondo punto però si collega il concetto che emerse, soprattutto nella figura di Varg, della distruzione dei luoghi di culto cristiani perché dissacranti degli antichi luoghi di culto degli dei nordici. 

Simbolo di tale iconoclastia fu la storica chiesa dell’anno mille di Fantoft, distrutta in un incendio doloso. 

Qua si crea una frattura radicale dal concetto di satanismo, proprio perché il punto diviene l’eliminazione di una cultura a detta di Varg stesso, non autoctona che ha privato il suo paese della propria identità. Una cultura di cui il satanismo stesso ne fa parte come mero opposto e quindi a sua volta eliminabile. 

Diviene un tentativo di recupero di un’identità culturale perduta, sempre seguendo le sue parole, ed il veicolo lo è tanto la musica e i suoi contenuti oscuri, inneggianti alla rivolta e rivalutazione degli antichi valori e culti, quanto le azioni dirette. Esse culmineranno proprio con l’incendio doloso a lui attribuito della chiesa di Fantoft e l’omicidio di Euronymus, altro esponente della scena. 

Questo fatto fu uno dei più gravi e memorabili della cronaca nera norvegese che spinse a condannare Varg a diciassette anni di prigione, una sentenza particolarmente dura per un paese non abituato ad un tale grado di violenza. 

 

SECONDO PASSO: BURZUM E LA PASSEGGIATA TRASCENDENTALE  

Basta ascoltare quello che è per molti considerato il suo capolavoro, ossia Filosofem, per farsi un’idea della personalità che il giovane Varg già allora possedeva. 

Gli elementi presenti in Filosofem sarebbero stati poi dosati in quantità diverse, in un processo alchemico che avrebbe evidenziato nel tempo sempre maggiormente la vena elettronica (anche a causa dell’impossibilità, in prigione di registrare con strumenti convenzionali) fino ad un vero e proprio ritorno al folk tradizionale norvegese, con i recenti The Way of Yore e Thulean Mysteries. 

Proprio nel Black più estremo e distorto, nell’elettronica più cupa ed abissale ed infine nel folk più tradizionale che Varg andò a delineare gli elementi essenziali ispiratigli proprio dalla Norvegia stessa 

Analizzando Filosofem partendo dalla copertina già ci rendiamo conto di un dato importante: Varg scelse una raffigurazione del pittore norvegese ottocentesco Theodore Kittelsen, nello specifico “Sulla collina risuona la chiamata squillante”, in cui una donna suona un lungo strumento a fiato folk davanti ad incombente foresta. 

Kittelsen rappresentò il lato più oscuro e misterioso della natura norvegese infatti, fatto di creature emerse dalla nebbia, viandanti sperduti in lande infinite al chiaro di luna, e soprattutto foreste.  

Infatti avviando l’album ci immergiamo letteralmente nella foresta rappresentata da Kittelsen e presa in prestito da Varg, accompagnati non più dal suono squillante dello strumento a fiato, bensì dal tappeto di arpeggi distorti e monotoni dell’opening, “Dunkelheit”, ossia “Oscurità”. 

Il brano merita di essere analizzato proprio per la sua componente duplice: da una parte la chitarra funge da sostituzione, letteralmente, del silenzio udibile immergendosi nel fitto di una foresta, mentre il sintetizzatore produce dei suoni abissali echeggianti come uno sguardo scandagliante nel buio. 

A conferma di ciò le lyrics del brano ci narrano, con un urlo straziante che sfocia poi in una voce tremante, quasi spaventata “Quando la notte cala essa ricopre il mondo in un buio impenetrabile […] improvvisamente la vita ha un nuovo significato”.  

Un significato difficilmente descrivibile a parole ma che sfido qualunque ascoltatore a non percepire giungendo al termine del brano. 

 

EST. TRAMONTO, FITTO FORESTA 

La luce è calata, inghiottendo il fondo della foresta. Dopo un breve istante udiamo in echeggiare un suono secco, metallico. È una campana. 

Ha un suono costante, come quello del tamburo. Dopo poco si aggiunge un coro di voci maschili e femminili. Le complesse melodie si mescolano al costante rintoccare del metallo, echeggiando tra i fusti delle grandi piante. 

Campane, tamburi e cori ora creano un fitto tappeto sonoro, a tratti totalmente dissonante, a tratti generante curiose armonie mai udite.  

 

 

INTERMEZZO: IL CERCHIO E LA LINEA 

Ogni cultura ha portato con sé simboli per rappresentare il proprio immaginario ma più di ogni altra differenza che distingue una cultura animistica da una monoteista come il cristianesimo sta nella concezione del tempo e dello spazio, di conseguenza dell’intera struttura mentale e realtà in cui gli individui vivono, semplificabile con il simbolo del cerchio per la prima e della linea per la seconda. 

Il passaggio dall’animismo al cristianesimo per moltissime culture è stato letale, un cataclisma inimmaginabile in cui ogni punto di riferimento è andato distrutto.  

Ben poche culture entrate in contatto con il cristianesimo sono infatti sopravvissute. 

Noi contemporanei, si può dire, viviamo in una concezione lineare da che non siamo più animisti. Per noi ogni cosa ha un inizio e una fine, viviamo nel concetto della separazione, della pluralità, del “tu” e dell’”io” e di conseguenza, ben più grave, del confronto, del “questo è migliore di quello”. 

Per una cultura animista questo non ha semplicemente senso, così come non ce l’ha l’inizio o la fine. 

Infatti secondo tale visione siamo tutti parte dell’unica linea il cui capo e la cui coda si toccano. 

Molteplicità unita.  

Attraverso tale ragionamento emerge la sostanziale differenza che penso possa aver risvegliato l’interesse di un Varg estremamente curioso, creativo ma molto arrabbiato contro il suo contesto, portandolo ad una rivalutazione totale dei valori in cui era cresciuto, fino a rigettarli e rivoltarsi contro essi. 

Questo di per sé non è insensato, sono le conseguenze delle sue azioni che mettono in luce un altro punto: l’assurdo sta nell’impossibilità di riavere indietro i tempi che furono, così come è impossibile invertire il processo di cambiamento della nostra società e dei tempi. 

Ne risulta un’azione il cui motivo è morto ed è stato resuscitato, un po’ come se si lottasse per imporre un fantasma del passato sul presente. 

C’è del dramma in ciò, ma penso sia più determinato dall’incapacità di una parte che è in ognuno di noi di accettare il cambiamento, indipendentemente che abbia portato più bene o miseria. 

Quella parte, se le circostanze esterne convergono con quelle interiori, può portare facilmente all’estremismo, forse proprio perché disperatamente si cerca un motivo per cui lottare, che dia senso alla nostra esistenza. 

 

 

TERZO PASSO: BURZUM E LA PASSEGGIATA TRASCENDENTALE 

Il sintetizzatore da questo punto ci richiama immediatamente il secondo brano esemplificativo ed opposto di Filosofem ossia “Rundgang um die transzendentale Säule der Singularität”, letteralmente “Vagando attorno al pilastro trascendentale della singolarità”.  

In questo brano di oltre venti minuti emergono fin da subito tematiche metafisiche legate ad una passeggiata trascendentale, probabilmente proprio in una foresta notturna, cosa è plausibile pensare che Varg amasse fare in quel periodo. Un pattern elettronico cupo ci introduce ad un ambiente sonoro oscuro quanto il sottobosco muschioso di una foresta scandinava, da cui lentamente emergono, della medesima pasta sonora di Dunkelheit, quei suoni abissali che non possono che richiamarci alle mente proprio dei passi. 

Sono lenti, costanti, si mescolano con il tappeto elettronico, ma sono più chiari, oserei dire positivi, rispetto a ciò che ne farà, a circa un terzo del brano, da contrappunto. Emerge appunto un suono simile ai passi ma cupo, grave, minaccioso. I due suoni paiono ora camminare insieme attraverso il paesaggio sonoro di una foresta elettronica, un uomo e un’entità oscura che ne accompagna i passi. Appunto, “trascendentale”. 

Emerge in definitiva una conferma dell’importanza che il territorio riveste per Varg nella composizione e nella contenutistica di Filosofem. 

Nei seguenti emergerà maggiormente la dimensione divina del pantheon scandinavo, ma già qui, in questa forma così limpida, ci troviamo anni luce dalle facce pittate di bianco e le croci rovesciate, per andare a scavare nel passato proprio della Scandinavia e del popolo che la abita. 

 

EST. CREPUSCOLO, FITTO FORESTA 

Un silenzio innaturale è calato nella foresta. Il vento soffia con un’eco grave, che ricorda una voce minacciosa.  Lentamente emerge un suono ritmico. Ricorda il tamburo ma è metallico quanto la campana.  Il suo ritmo è troppo costante per essere umano.  Con maggior chiarezza ora udiamo suoni metallici sincroni, di meccanismi in rotazione.  Nel complesso il suono richiama come un grande orologio sferragliante.  

Una macchina di dimensioni enormi. 

Dopo un lungo attimo un enorme tonfo fa tremare ogni albero, ogni fronda. Poi un altro ancora.  

In lontananza pare crescere nel bosco l’ultima luce del giorno ad ogni nuovo immane tonfo, come un’innaturale alba anticipata.

 

 

ULTIMO PASSO: BURZUM E LA PASSEGGIATA TRASCENDENTALE  

Con gli ultimi album Burzum abbandonerà totalmente le sonorità distorte per far emergere un terzo elemento che pareva sopito, ossia il suono acustico e folk, oltre al canto pulito di natura simil-sciamanica, senza però rinunciare alla natura elettronica che sviluppò nei diciassette anni di prigione. 

Con The Way of Yore e Thulean Mysteries assistiamo alla fusione tra passato e presente non solo musicale ma identitario dell’autore, nonché l’emergere di una tematica che sempre potremmo definire nascosta tra le note di distorsore: il recupero e la salvaguardia dei miti e delle leggende scandinavi. 

Recita infatti, in inglese, nel brano The Land of Thulè “Non abbiamo ereditato Thulean dai nostri antenati, l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli”.  Si sta chiaramente parlando di proteggere la natura dalla sua distruzione in favore delle generazioni successive.  

Ancora una volta, la foresta torna, trasfigurata lungo questa lunga passeggiata attraverso di essa, da regno dell’oscurità a casa degli spiriti vendicativi ed infine luogo di rinascita e di rinnovata luce e, forse, speranza. 

E qui a mio modesto parere si trova proprio l’anima della produzione artistica ed intellettuale di Burzum, controversie a parte, proprio al di sotto delle fronde che, infondo, sono sempre le stesse sotto cui gli antichi scandinavi camminarono ai loro tempi. 

 
CONCLUSIONE: FANTASMI

Il Black Metal per come è stato concepito dal progetto Burzum non è altro che l’ectoplasmatica del paganesimo tornato per vendicare la sua morte violenta con lo stesso pane. Esso è l’onda distorta, rabbiosa, complementare e opposta del suono dell’arpa e del tamburo. È l’eco del vento, dell’acqua, del fuoco che riverbera nell’oltretomba ed indietro, nel nostro mondo. Questo fantasma è stato strappato dal suo tempo e nel manifestarsi dichiara proprio la sua vacuità. 

Se è possibile riportare nel nostro presente antichi concetti essi trovo debbano avere una profonda utilità di cambiamento rivolta al futuro, altrimenti sono appunto fantasmi senza più alcuna sostanza. 

In un’epoca di crisi identitaria e culturale, in cui l’epoca dell’industrializzazione mostra infine i propri limiti, ritengo che tornare a concepire noi e il mondo come una medesima cosa permetterebbe un cambiamento sufficiente delle coscienze. 

Ma è davvero possibile? O forse evocare questi fantasmi significa chiamare una distruzione che lascerebbe solo una gran tabula rasa di senso? 

Infondo, parafrasando proprio Burzum, il Pianeta Terra lo abbiamo preso in prestito ai nostri figli. 

 

 

EST. NOTTE, LIMITARE DELLA FORESTA 

Davanti a noi ora, dove la vista ci era preclusa dalle grandi colonne arboree, si apre un paesaggio sconfinato.  

L’oscurità ha inghiottito l’intero paesaggio, lasciandoci scorgere solo le sagome delle colline che si estendono oltre, a perdita d’occhio. 

Udiamo ancora i tamburi, le campane, i cori che ora creano un tappeto sonoro simile ad un rumore bianco, una nota costante ed indistinguibile nei suoi elementi. 

In questo immensa distesa di buio emerge una fioca luce, all’inizio come una candela danzante, poi sempre più luminosa, facendo arretrare le tenebre attorno. 

Improvvisamente dalla nota dissonante di fondo esplode un urlo lanciante, acuto e lunghissimo, un urlo che pare sia di guerra, di rabbia, di follia, insieme.

L’urlo si mescola al tappeto sonoro generando un unico lunghissimo suono distorto, mentre quello che un tempo era un campanile ora è un enorme fiammifero avvolto in immense lingue di fuoco che rischiara la notte, ormai calata. 

 

Il regista Giacomo Coerezza ha firmato questo articolo sul Black Metal scandinavo per The Way Magazine.

FONTI 

-Wikipedia 

https://it.wikipedia.org/wiki/Varg_Vikernes 

https://it.wikipedia.org/wiki/Black_metal 

 

-Lord of Chaos (di Didrik Soderlind e Michael Moynihan) 

Thulean Perspective (canale youtube Varg Vikernes) 

 

Testo a cura di Giacomo Coerezza.

Giacomo Coerezza è un creativo che si muove tra arte, regia e videomaking. Con The Way Magazine è stato uno dei protagonisti delle iniziative della Milano Design Week che abbiamo organizzato nel 2019. Per leggere il suo profilo con intervista visitate questo link.

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