Ha avuto un flirt con l’opera ma il teatro è la sua casa e tornarci lo reputa necessario. Luca Micheletti è un attore, regista teatrale e baritono di 38 anni che vive il suo ruolo pubblico come una costante messa alla prova: “La scuola del palcoscenico me la porto quando canto l’opera. Per me è lo stesso mestiere, faccio teatro e soprattutto riconosco che storicamente c’è stata sempre fluidità nei mestieri del teatro. Per me si tratta di un pofondo arricchimento”.
Questo mese è al Franco Parenti di Milano per “Il Misantropo” con la regia di Andrée Ruth Shammah. E oggi, richiestissimo porta avanti, da eclettico e visionario, le due attività: “La musica nel mio teatro è stata sempre prevalente, ma da quando l’opera lirica ha preso molto del mio tempo, sono riuscito sia da musicista che da interprete, a dedicarmi a progetti che coniughino la musica e il teatro di prosa che mi ha dato i natali.”
Luca Micheletti è anche di più: regista stabile della Compagnia teatrale I Guitti, ha firmato creazioni e recitato per i maggiori festival e teatri nazionali collaborando, tra gli altri, con Umberto Orsini, Marco Bellocchio, Luca Ronconi, ottenendo insigni riconoscimenti come il Premio Ubu (2011) e il Premio Internazionale Pirandello (2015).


“Il misantropo – racconta – è senza dubbio uno dei titoli più celebri del teatro di tutti i tempi; eppure, spesso, se n’è frainteso il cuore, interpretandolo, a seconda, o come una vicenda di accigliato moralismo con la rappresentazione dell’insofferente avventura umana di un iracondo, o come il crepuscolare autoritratto di Molière, o, ancora, come un’avventura ai limiti del paradosso in cui, se la virtù sta nel mezzo ma ognuno la cerca nell’estremismo, persino chi sembra aver ragione finisce per aver torto. Per me la grandezza di questa commedia e dei suoi personaggi sta nell’essenzialità delle loro relazioni: una serie di contrasti che denunciano «la ridicola impossibilità per un cuore passionale di spiegarsi, circa l’essenziale, con l’essere amato”.



Un Don Giovanni pazzo e crudele è invece l’altro archetipo di uomo con cui Luca Micheletti proprio in questi mesi è stato chiamato a cimentarsi nell’ambito lirico. “L’occasione di esplorare il personaggio di Don Giovanni è una condizione privilegiata per un interprete – dice – . È un personaggio sia molieriano che mozartiano. Tutta la mia esperienza avviene nel corpo, come ogni performer, la vivo sulla mia fisicità e voce. Quando sono sul palco mi vedo impegnato in un percorso di affinamento atletico delle mie possibilità. Mi piaccio quando riesco nell’obiettivo posto, nell’incontro con un personaggio che riesco a fare mio. È una soddisfazione personale riuscire ad aggiungere la mia goccia al mare delle mille interpretazioni pregresse”.
Per Micheletti, il confronto con i mostri sacri del suo campo è “un modo per coniugare lo studio, la passione per la storia del teatro con la scena che mi sta intorno, con il contemporaneo. Si fa coincidere il nostro presente con quello che apparentemente non gli appartiene più”.
Una sinstesi di ambizione e intenti che è alla base della sua passione per la recitazione, anche da spettatore: “Sono sempre stato uno spettatore vorace di opera, prosa, danza, a volte chi fa teatro non ne può più deve staccare la spina. L’attore o il regista deve essere un ladro sapiente. La facoltà di appropriarsi del bello va umilmente imparata confrontandosi con i grandi che abbiamo intorno”.
Foto di apertura: E.Mereghetti