Dario Fo è un innovatore per natura. Da attore, drammaturgo e pittore, oggi che ha 90 anni ed è una gloria italiana riconosciuta nel mondo, lancia ancora sfide. Alla presentazione di Razza di Zingaro, una collezione di quadri ispirati alla vicenda di Johann Trollmann, pugile zingaro nella Germania nazista, ci ha detto: “Tornare con una mostra denuncia sulle atrocità del nazismo è una grande gioia. Per me questa Miart è una galleria storica, dove ci sono stati pittori illustri, ho visto i più grossi d’Europa qui. Anzi, mi dispiace di non avere tutti i quadri che ho visto. Un luogo in cui si veniva appena mangiato, venivano tutti i ragazzi di Brera”.

Eh sì, perché il premio Nobel per la letteratura in realtà è stato un ragazzo di Brera, e ancora oggi lui stesso dice di essere “attore dilettante e pittore professionista. I miei lavori teatrali spesso nascono come immagini. Disegno prima di scrivere”. Dario fo ha frequentato la prestigiosa accademia quando a insegnare c’era Achille Funi, a dirigerla c’era Aldo Carpi, a frequentarla arrivavano Marino Marini e Carlo Carrà.
Ma lo spirito rivoluzionario di Fo era già palese e incontenibile: “Mi dicevano: questo non si può fare, quest’altro non è in linea con la tradizione. Se non è nella tradizione fatevelo voi il quadro. E poi, molti di quelli che ci bloccavano, non sono andati avanti, purtroppo per loro”.
Fo ricorda di grandi del passato che per il loro desiderio di innovare sono stati bloccati, una vera lezione per tutti ancora oggi. “Prendete Michelangelo Caravaggio, la quantità di quadri che gli sono stati rifiutati è enorme. Poi i compratori e anche le chiese, di nascosto, andavano da lui e gli chiedevano: mi daresti quel quadro? Perché sotto sotto gli piaceva”.
La mostra con cui il maestro torna protagonista di una personale a Milano dopo 70 anni è tratta dal libro Razza di Zingaro, una celebrazione delle straordinarie vittorie del pugile stinti nella Germania che non lo ammise alle Olimpiadi del 1928 per motivi raziali. Anche il protagonista di questa storia era un innovatore: “ il libro è ispirato a un’inchiesta condotta da un mio amico – ha spiegato Fo – su questo pugile che ha suscitato molto scalpore nella scuola dove si allenava. Lui danzava sul ring ed era una completa novità. Ovviamente tutta la vecchia guardia lo ostacolava, non si poteva fare perché andava oltre le regole. Eppure lui vinceva”.

La classe del Johann Trollmann pugile è ben rappresentata dai lavori di Fo, davvero commoventi, come ‘La palestra è come un luogo sacro’ o ‘L’allenamento’, dove secondo Fo si capisce che il pugile “sorprendeva, con la gestualità e perfino la respirazione di un attore. Lui non voleva annientare l’avversario, distruggerlo, ma piuttosto giocare insieme a lui, renderlo la sua spalla”.
L’operazione che fa Dario Fo è giustamente un’operazione universale che ha due fini: evidenziare che la diversità ha fatto sempre paura e che soprattutto la bravura mette in crisi il potere. “Siamo ancora in quel mondo, è successo in passato e succede oggi – dice Dario Fo – il diverso è emarginato ed è rifiutato. Oggi succede con gli stranieri che non hanno una banca dietro. E ancora in Germania di questa vicenda non si parla, nonostante il mio libro sia fatto con un distacco enorme sul piano razziale e senza andar contro il popolo, non è una colpa, non si può processare il popolo. C’è chi controlla il diritto di raccontare una storia di cui tanti sono molto responsabili. Il pugile morì in carcere, la famiglia ha richiesto che gli venga attribuito il premio dei pesi medi che aveva vinto e che gli fu ingiustamente tolto. Fino a due anni fa, nessuno si era scusato o fatto sentire”.
La corona di campione negata a Johann è stata finalmente consegnata dopo 80 anni. Oggi, Dario Fo, con la sua vis comunicativa artistica dirompente, ci apre ancora gli occhi.
Fotoservizio di Christian D’Antonio presso Miart Gallery – via Brera, 3 Milano