Se state leggendo questo articolo sapete quanto potenziale espressivo racchiude questo mezzo telematico. Eppure ci vuole esperienza e maestria da esperti di comunicazione a consegnare al mezzo le emozioni del momento. Come ci si sente “Down There”, il nostro profondo, in questo 2020? Dalla paura al lockdown, l’opera multimediale visibile su questo profilo Instagram (in continuo aggiornamento) raccoglie le esperienze di creativi, professionisti, cittadini, lavoratori, alle prese con la più dirompente delle esperienze collettive dell’ultimo secolo. L’idea e la realizzazione è arrivata dalla sinergia efficace di diverse persone che nei media e nella creatività hanno affermato la loro professionalità. E sono: Anghela Alò, direttrice creativa, Francesca Benedetto, design critic in landscape architecture, Federico Bernocchi, autore e conduttore radio tv, Stefano Govi, specialist del linguaggio audiovisivo, Simone Russo, agenzia di comunicazione Super, Carolina Stramerra Grassi, direttore creativo di programmi tv.
Come nessun altro contenuto che troverete online in questo momento, “Down There” è il documentario, mostra multimediale che racconta con una mappatura emotiva attraverso interviste a distanza, il profondo sconvolgimento che tutti viviamo nel 2020. Come cambiano il nostro sguardo, la nostra visione, i nostri pensieri. Ciò che abbiamo perso, ciò che stiamo cercando. Come immaginiamo il mondo in seguito parlare di ciò che sta accadendo laggiù, con persone di mondi diversi, per mappare scenari di possibili futuri. Come la percezione del nostro tempo si trasforma, insieme alle nostre abitudini e al nostro vite. Dalla finestra. Un archivio di pensieri, conversazioni ed esperienze, con persone di mondi diversi che guardano il proprio “laggiù”, per mappare scenari di possibili futuri.
E così si scopre che c’è chi racconta con orgoglio dei cinque stadi del dolore da superare, degli strumenti culturali e dello shock sociale che si prefigura. Dubbi e leve di forza autogene pervadono le personalità e coscienze degli intervistati. Le risorse creative su cui far leva, invocate da molti, si alternano alla necessaria rivalutazione dell’individuo, alla necessità del “fare i conti con se stessi da soli”.
Insomma, in un viaggio di poche settimane, “Down There” non solo ci mette a confronto con personalità diversissime, ma anche con stati d’animo e socialità disparate da ogni parte del mondo. Che in qualche modo (dobbiamo vederlo d’ora in avanti), dopo l’isolamento dovranno tornare a convivere in una maniera diversa. Ed è forse proprio questa la forza del progetto: farci capire con che parte di noi (e degli altri) avremo a che fare d’ora in poi.
Il giornalista Riccardo Luna pensa che ci salverà “l’ottimismo, la generosità e l’umiltà“. Anna Bernagozzi, docente di design a Parigi, ha ricordato di come il premier francese Emmanuel Macron ripetesse la parola “guerra” nei suoi discorsi pubblici. Eliana Guerra, creative producer di programmi televisivi, pensa alla circospezione: “Quando ci abitueremo a un mix di vita libera e costretta forse saremo già abituati alla prudenza tra di noi. Non riesco a immaginare però un’umanità fatta solo di occhi”.
“Avevo delle lame in studio e ho fatto una coperta all’uncinetto. Avevo bisogno di una protezione” dice con rara lucidità emozionale Ricchezza Falcone, costume designer.
Monica Maimone, a oltre 70 anni ricorda che ha iniziato a far teatro a 19 anni e ritiene che il coup de theatre di tutta la quarantena sia stata una sola immagine: quella del Papa nella piazza vuota di San Pietro per la settimana santa. E dice: “Vorrei che gli artisti pensassero in ogni città cosa deve essere il simbolo del ringraziamento, perché la fruizione della bellezza sia vicina alla narrazione. Penso a installazioni narranti non da guardare, ma che comunichino”.
Giovanni Piccolo, storico e guida turistica, osserva: “Gli elementi di crisi hanno portato a ripensamenti importanti, dalla peste del Trecento è arrivato il Rinascimento”.
Christian D’Antonio di The Way Magazine ha sottolineato il fenomeno del cavalcare l’onda dell’emergenza: “Bisogna impegnarsi in qualcosa che abbia un valore reagente. Bisogna veicolare contenuti che possono valere anche al di fuori dell’emergenza”.
Confinati fisicamente ci sono delle libertà sorprendenti. Lo dice l’artista Carmen Sorrenti, mentre l’artista Ana Kuni lancia la figura della “Warrior Woman”: “Una guerriera pacifica, perché abbiamo la grande opportunità di trovare la forza che un tempo cercavamo fuori e dobbiamo farcela invece da soli, stando chiusi dentro”.
Stefano Francia di Celle, da qualche mese direttore del Torino Film Festival racconta la sua esperienza: “Per portare un festival online bisogna trasformare obiettivi utili anche per il web, siamo indietro dal punto di vista digitale ma per fortuna abbiamo una linea precisa. Sono opere prime e film d’autore con tematiche sociale che sono facilmente interesse perché non hanno distribuzione ampia“.
Massimiliano Vernaleone, economista e manager, ha invece evidenziato come le criticità siano emerse sia per i privilegiati che per i fragili. E in effetti nel video successivo la sensazione è confermata da chi non sa come riprendere a lavorare. “Non abbiamo niente di scritto per seguire le indicazioni“, dice Chiara Deho, un’imprenditrice responsabile del Pinch Bar a Milano, che lamenta troppa responsabilità demandata.
Molto energetica e positiva Viviana Volpicella, stylist da Bari, che ha ripreso e fatto suo il messaggio di Giorgio Armani. “Ne ho approfittato per rallentare e ho smesso di vivere nell’attesa del prossimo viaggio o progetto. Ho chiesto a me stessa di calmarmi”.
Alberto Mattiello, esperto di innovazione da Riga, capitale della Lettonia, ha raccontato come il Covid abbia accelerato il futuro: “C’era già tutto in campo di innovazioni ma il futuro è arrivato prima”.
Rocco Centrella, consulente musicale, che racconta di come sia il genere musicale HD che definisce il lockdown: “Nasce dall’elettronica, sfrutta le potenzialità dei software e ha suoni con l’obiettivo di suonare finti. Crea tensione, distacco e il fascino dell’irreparabile”.
Marina Spadafora, fashion designer, evidenzia un’aspirazione al reset: “Dobbiamo ascoltare la grande opportunità che ci viene data, nel ripensare il modo in cui vivevamo anche il settore moda, un sistema che si è rotto. Se non ricominceremo con una nuova mentalità altrimenti sarà un pericolo enorme”.
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