C’è un giovane chef pugliese che per raccontare le sue creazioni culiniarie si “ciba” di arte. E non solo, fa anche un lavoro minuzioso di recupero di tradizioni del territorio e di divulgazione. Giovanni Gigante è di Ginosa in provincia di Taranto: diplomatosi all’istituto alberghiero di Matera lo possiamo definire come un contrappunto in cucina, che sublima i contrasti di sapore e di odore in un mix di tradizione, ritrovata, innovata e reinventata, alla luce di un sapere povero e antico che affonda le sue radici in un rapporto di ricambiato affetto con la propria terra e le proprie origini che diventano nido dal quale spiccare il volo, ma nido a cui tornare sempre, come patrimonio inestinguibile di ciò che si è e di ciò che si ha, rivitalizzando i profumi e gli aromi di una Puglia che diventa suggestione e luogo dell’anima, sull’onda degli insegnamenti di una nonna che rivive in ogni pietanza e momento della vita di questo ragazzo che non ha paura di affrontare il futuro con un gusto essenziale ed armonico, esattamente come se si trovasse di fronte ad uno spartito musicale o ad un’opera d’arte. Non a caso le sue fonti di ispirazione, a parte i ricordi e i sapori della nonna, quasi in un inconscio rimando alle Maddalene di proustiana memoria, sono i colori e gli odori di quella parte di Puglia incassata nella Murgia ai confini della Basilicata dove è nato e dove si è formato e che porta e custodisce nel cuore, in ogni luogo in cui ha lavorato.

Ciò che ti contraddistingue è il tuo forte legame con il territorio tanto da ritrovarlo nelle tue creazioni, non solo nell’uso degli ingredienti ma anche nell’impiattamento e nell’abbinamento dei colori. Cosa ci puoi raccontare?
Ogni mia creazione ha una linea ben precisa, studio della materia associato al territorio. Unione accurata della creatività con l’intelletto di un artista che attraverso sensazioni, umori, tempo e circostanze riesce a trasformarle in un piatto da degustare, apprezzandone la sua costruzione.
La materia prima, secondo il mio punto di vista, deve essere apprezzata e nello stesso tempo studiata non solo a livello di storia dell’ingrediente stesso, ma anche della sua struttura e delle varie sfaccettature che può offrire in base alle consistenze con la quale viene trasformata. L’impiattamento poi può variare dallo stile perfetto a uno controcorrente, non seguo una filosofia ben precisa a volte mi lascio trasportare dall’idea e dall’emozione che vivo in quel momento.
Un mio piatto nasce dal ricordo unito ai profumi ed alle emozioni che abbiamo vissuto e viviamo nel nostro percorso di vita.
Questa oandemia ha reso tutto più complicato colpendo duramente molti settori. Il tuo è stato particolarmente colpito, come hai reagito e quale può essere adesso la sua evoluzione?
Di certo è stato ed è un periodo complicato che ha devastato molto il nostro settore, sono dell’idea che è stata una cosa inaspettata su tutto. Però devo essere obbiettivo e dal lato umano sono consapevole giustamente che il virus c’è, ma non sono affatto d’accordo sul fatto che attività che prevedano movimento di gente debbano stare aperte al pubblico e migliaia di aziende che operano nel settore ristorativo, nonostante le adeguate precauzioni igieniche e sanitarie, debbano restare chiuse rischiando di non poter più riaprire. Una piena follia. Voglio solo ricordare che qualsiasi attività in Italia e nel mondo ha un servizio di ristoro, quindi ciò vuol dire che se non c’è ristoro non gira l’economia. Parliamo di una catena come bene primario dell’uomo. Infine, sono ottimista e dico che riusciremo ad uscirne da tutto questo e il ritorno in cucina sarà un’esplosione. Devo dire che tutto questo periodo mi è servito essenzialmente a studiare ed approfondire a livello teorico e pratico pensando con mente lucida e rilassata a nuove creazione, abbinando consistenze e ingredienti.

Qualche tempo fa leggevo un articolo dello Chef Dani Garcìa, tre stelle Michelin, il quale diceva che la strada dell’alta cucina deve dirigersi verso la riduzione dei coperti, dodici ma anche solo sei. Tu cosa ne pensi?
Sono d’accordo sul fatto che per fare alta cucina, fatta in un certo modo, deve esserci un numero ridotto di clienti, per dare vita davvero al 100% a creazioni di puro spettacolo, però devo anche dire che riguardo ciò l’alta cucina ha avuto dei momenti di estrema esplorazione arrivando all’apice della costruzione ed ora, anche con quello che viviamo da qualche anno a questa parte, secondo un mio punto di vista c’è più una clientela pronta e determinata a provare pietanze fatte di gusto e storia, ed è questo il successo più bello, riportare il gusto indietro nel tempo con le varie cotture, tradizioni e sapori.
Tu hai sempre lavorato in grandi cucine anche all’estero, adesso quali sono i tuoi progetti futuri, stai lavorando anche a qualche nuovo piatto?
Al momento sinceramente sono in fase di attesa temporanea, ma non nascondo che sto lavorando appena sarà possibile per progetti futuri. Di certo le idee ci sono sempre e a volte mi diverto a creare emozioni golose per il palato presso la mia dimora.
Allo Chef Awards Challenge hai presentato “Essenza di cipolla” vorrei ci parlassi di questo piatto e cosa ti ha ispirato la realizzazione.
È stata utilizzata la cipolla intera dividendola in vari procedimenti, rendendo unico il suo gusto.
È stato ricavata dalla buccia cotta sui carboni la polvere di cipolla, la parte centrale interna è stata tagliata e cotta in una soluzione acetosa, il resto del frutto della cipolla è stato utilizzato per ricavarne un brodo concentrato, da qui il nome essenza, per rilevare il gusto forte di un elemento povero e dare risalto al raccolto e alla vita di un contadino
Hai partecipato anche alla Finale Acqua di Chef ’20, vorrei ci parlassi del piatto che hai presentato e ci raccontassi com’è andata.
Nasce dall’intreccio tra mare e terra del Golfo Ionico. L’utilizzo della crusca e delle restanti farine integrali è una scelta personale legata all’infanzia. Osservavo attonito in campagna il grano muoversi in sintonia con quell’aria fresca che veniva dal mare non molto lontano. Il nonno che curava l’orto in base alla stagionalità del prodotto e la nonna che si impegnava a curarsi di noi, con quella tranquillità pacifica e occhi pieni d’affetto. All’epoca la crusca era il “lingotto d’oro”, usato per uno dei bottini principali pregiati di una tavola di famiglia il Pane e per la pasta, oggi il paradosso è che un ingrediente così ricco venga utilizzato a livello zootecnico. Infatti proprio per questo ho deciso di creare un impasto all’uovo grezzo per lasciare la particolarità alla naturalezza della materia. Creando una simbiosi di gusti e consistenze che rendono il piatto completo. Le caratteristiche variano, dalla croccantezza dell’impasto poco raffinato, al richiamo del grano con il profumo della tostatura del germe, al dettaglio del sapore delicato della cicala, con l’accompagnamento della spuma che ti bagna le labbra come quando da bambino steso sul bagnasciuga venivo travolto dall’acqua salina, olio evo della nostra murgia e infine il tocco dell’alga a dipingere una piccola opera del bacino pugliese.
Infondo dipende da noi stessi, oltre gli ostacoli, chiudere gli occhi e cercare di sognare. E’ stato emozionante confrontarmi con grandi professionisti ed aver partecipato alla finale. La mia vittoria più grande è stato sentirmi dire dallo chef Stellato Gennaro Esposito che mi ha fatto onore aver portato in gara un piatto con una forte linea marcata della mia terra, lo studio delle materie prime e la valorizzazione delle stesse attraverso la mia creatività non badando per niente alla mia giovane età.

Tu hai anche recente pubblicato un libro “Taste your Time” un abbinamento tra cucina e pittura com’è nata questa tua idea?
Un quadro può ispirare un piatto. Un piatto può raccontare un territorio e un popolo. È quello che avvenuto quando si sono incontrate la mia sensibilità culinaria e l’estro creativo del pittore Domenico Dell’Osso, artista di fama internazionale e caposcuola riconosciuto della pop surrealism Art. Entrambi siamo di Ginosa e abbiamo deciso di mettere il nostro talento al servizio di una nobile causa, promuovere la buona e corretta alimentazione, anche per prevenire i rischi del cancro. Da questa intuizione è nato il libro, “Taste your time”, gusta il tuo tempo, edito da Gelsorosso, Bari, che tra tradizione e innovazione ha reinventato la cucina mediterranea. Molti mi hanno chiesto ma Cos’è questo libro? E’ un libro di cucina? E’ un libro d’arte? E’ un libro di Cucina e un libro d’Arte. Questo per me è il libro di un incontro: tra me e Domenico Dell’Osso, un cuoco e un pittore. Due giovani uomini che si guardano negli occhi, si ritrovano nelle radici comuni, riscoprono il proprio tempo e lo gustano, come luogo dell’Essere insieme. Sedersi a tavola, in un mondo che corre, forse senza sapere verso dove, significa rilassarsi, gustare l’attimo e riprendersi il tempo, che ridiventa il momento, in cui si passa dall’io al Noi. Ma questo libro è anche altro, il tentativo, riuscito, di sposare le suggestioni culinarie con l’arte contemporanea e surrealista di Domenico Dell’Osso, che ha saputo proiettare la Puglia nel surrealismo italiano ed internazionale, facendo dell’inconscio, il luogo del sogno realizzato ma non del tutto svelato, che parte da un dolore e approda ad una condizione di equilibrio disaggregato, proprio come suggerisce la mia cucina. Buon appetito quindi, tra i piatti che sono un colpo d’occhio e immagini che diventano una goduria per il palato.

Vorrei che scegliessi due piatti che più ti rappresentano in un questo momento e ce ne parlassi dalla nascita dell’idea alla realizzazione.
Sgombro al Barbecue
E’ un piatto che nasce da un’idea e cioè di solito noi mangiamo un taglio di carne pregiato con la sua salsa, io ho pensato di valorizzare lo sgombro, che è un pesce azzurro povero, ricreando la stessa sensazione
Degustando questo piatto e chiudendo gli occhi mi vengono in mente le grigliate estive in campagna quando ero bambino. Un secondo piatto ricco di gusto.
Fico d’India Fermentato e il suo estratto, Mandorle Cotte al Carbone, Semi Misti Tostati, Foglie di Lillà essiccate
L’idea nasce dal voler valorizzare sempre il territorio attraverso il Fico d’India.
Ho deciso di cambiarne la struttura facendola fermentare creando quindi una parte esterna acidula e lasciando intatta la parte interna esaltando però il gusto del fico stesso con il suo estratto. Ho unito però alla fermentazione un’altra tecnica utilizzata in passato e cioè la cottura a carbone. Creazione da utilizzare come pre-dessert.
Inoltre questo piatto è stato presentato ad Assisi quando sono stato premiato da Chef Awards.
A me piace abbinare la musica alla cucina ed allora ti chiedo se il tuo stile di cucina fosse una canzone quale canzone sarebbe e perché?
Non c’è una canzone ben precisa, ma posso dire che il mio stile di cucina è una miscela tra il rock e la musica classica, e spiego anche il perché. E’ di certo l’unione della determinazione di dar sempre il meglio con la tranquillità di pensare attentamente alla costruzione del piatto.
Intervista a cura di Nicola Di Dio