Jack Savoretti a 33 anni ha scritto la sua prima lettera d’amore per la moglie. Lo ha fatto in un disco, Sleep No More, che negli intenti è un viaggio sentimentale. “Non è una lettera nel senso tipico del termine – spiega – ma è un ringraziamento. Inizi col dire che hai bisogno di lei, poi ti ritrovi a dire: non posso vivere senza te”.
Savoretti, 33 anni, cantautore inizialmente famoso in pochi Paesi, ora richiesto in tutto il mondo, a 10 anni dagli esordi (l’esordio Between The Minds era del 2007) è particolarmente seguito in Inghilterra e Italia. Ha scritto il pezzo di lancio, When We Were Lovers, con un’ambivalenza che ha sorpreso lui stesso: “Mi sono riletto il testo e ho pensato, non sarò mica già in quella fase della vita in cui sono nostalgico del passato? Ma poi ho riflettuto e la canzone dice in realtà che il futuro è più bello di tutto quello che abbiamo vissuto finora”.
I testi, come nella miglior tradizione cantautorale, sono importanti e compongono un quasi-concept album sulla responsabilità: “Faccio parte di una generazione che si è trovata a un bivio, la pressione di essere perfetto sul lavoro o in famiglia e la realizzazione delle proprie passioni, il mettere in evidenza il proprio talento. Che si fa? Come si trova l’equilibrio?”.

Buon punto di partenza per una tematica che fa da sfondo al prodotto di un trentenne, specialmente se si considera che fino al gennaio scorso, Jack era nella comfort zone di chi suona per chi se ne accorge, per le orecchie attente. E basta. “Poi sono stato ospite al Graham Norton Show a Londra e all’improvviso c’è stato un ritorno di interesse per il disco precedente, Written in Scars. Oggi posso dire che è stato un piacere scrivere un disco per il quale sapevo ci sarebbe stato un pubblico. Volevo prendermi del tempo poi ho pensato che era meglio dimostrare quello che sapevo fare, visto che c’era attesa”. Parla perfettamente l’italiano, e i suoi seguaci sanno perché. È nato da padre ligure e madre tedesco-polacca. Da Londra ha fatto poi il salto in Svizzera negli anni della sua formazione da adolescente. “Mi considero vicino all’Italia, tifo Genoa, ho molto della cultura italiana dentro. Me ne sono accorto quando me l’hanno detto all’estero, oltre che per il mio aspetto. C’era nella mia musica un sacco di legame con Tenco, De Andrè”. E poi c’è Lucio Battisti, un vero riferimento a cui Savoretti si è accostato quando l’artista è morto nel 1998, sull’onda del can can mediatico della scomparsa.
La conseguenza? In Sleep No More Jack Savoretti ha fatto un ponte ideale tra cantautorato anglo-sassone e l’Italia degli anni 70. Un esperimento che solo a lui poteva riuscire, perchè con testardaggine si è messo in testa volutamente di essere parte della cultura italiana popolare: “Questo paese è il mio passion project, dovevo stabilire un contatto con questo pubblico perché sono cresciuto con la musica italiana. Battisti per me non era un cantautore solamente, è un profuttore, è il creatore di un mood. I suoi dischi sono più cutting edge di tante cose che si sentono ora. Ci sono dischi di quel periodo, come alcuni album di Patty Pravo, che sono davvero riuvidi, sembrano la colonna sonora di Rocky Balboa”.
E come fa a spiegare agli inglesi queste influenze? “Diciamo che quando arrivo in studio metto sul piatto subito Morricone, Battisti e Tenco. Dico ai collaboratori di sentire quel basso che Battisti metteva nei dischi, forse oggi solo i Black Keys e i White Stripes si avvicinano a quel suono”.
Incredibilmente, a Londra come a Sydney la commistione è piaciuta un sacco. Oltre a essere un sex symbol, forse suo malgrado, a giudicare da quanto Jack sia easy nel look, è diventato un cantore internazionale con il mood italiano della muscia di 50 anni fa. “Si può esprimere concetti nella lingua più musicale del mondo, l’inglese, anche rifacendosi a quel mondo sentimentale, romantico, a tratti struggente dell’Italia musicale di quel tempo”. Ci voleva l’inglese, insomma, per ricordarci il bello del sentimento all’italiana.
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