La splendida Villa Serra di Comago a Genova ha fatto da location al Festival Essenza, un evento d’arte incentrato sulla danza e il benessere organizzato da Francesca La Salandra e Miriam De Lellis, due artiste e ballerine di danza del ventre che hanno portato a Genova il Tribal daily dance.
Si è trattato di una seconda edizione ed in particolare quest’anno l’attenzione si è focalizzata sulle danze multietniche ma soprattutto su di un’interessante sfilata di moda che ha visto come protagonista e organizzatrice la Sakura Project. Nata quasi per scherzo da un’idea di Sophie Lamour, oggi la Sakura è una consolidata realtà con l’obiettivo di promuovere la cultura giapponese tanto che per questa sfilata, tutta dedicata ad alcuni preziosi kimono d’epoca direttamente giunti da Nagoya e da Osaka, ha ricevuto un riconoscimento ufficiale dall’Ambasciata giapponese in Italia.
Sophie Lamour e le sue allieve hanno voluto celebrare l’estetica e la bellezza giapponese infatti, l’amore per il paese del sol levante è nato anni fa grazie al romanzo “Memorie di una Geisha” di Arthur Golden, lettura che l’ha portata poi ad approfondire altri aspetti culturali attraverso testi dal taglio più scinetifico/divulgativo fino a dedicarsi al giapponismo, una corrente artistica nata tra Ottocento e Novecento, del secolo scorso, fondata da grandi artisti (soprattutto francesi) come Degas e Ronoir, Monet e Manet e altri ancora come ad esempio Klimt che hanno subito il fascino del Giappone attraverso il grande artista Hokusai noto per la sua famosa Onda dello tsunami. Debussy addirittura fu talmente influenzato dalle opere di Hokusai che una sua opera la intitolò La Mer.
Sophie Lamour non si accontenta e inizia così un percorso culturale che la porta a concentrare la sua attenzione sul mondo delle geishe tanto da riuscire a conoscere una vera geisha (che per ragioni culturali ha preferito mantenere l’anonimato) con la quale ha avuto l’opportunità di studiare l’ikebana e di disegnare gli ideogrammi e naturalmente di apprendere anche l’arte della tanto nota danza coi ventagli per proseguire poi con la filosofia di vita giapponese vocata all’armonia con la natura e il prossimo.
“La geisha è un artista” ci spiega Sophie, “e la parola geisha deriva dall’unione di due parole giapponesi neutre, gei che significa arte e sha che significa persona, le prime geishe in realtà erano uomini, stiamo parlando del XVII secolo, poi, poco alla volta sono riusciti ad aprire il mondo dell’arte e dello spettacolo anche alle donne e hanno scoperto che la bellezza del fascino femminile ma soprattutto il talento e genialità”.
Sada Yacco è stata sicuramente una tra le più grandi geishe mai esistite, forse la prima ad intraprendere una tourne agli inizi del XX secolo tanto che riuscì ad influenzare lo spirito artistico europeo attraverso le sue vesti come i kimono cerimoniali e i kimono da spettacolo, lei riuscì a creare degli spettacoli in cui il modo di recitare giapponese si incontrava con i grandi classici occidentali. Questo è importante per capire che la geisha non ha nulla a che fare con l’immaginario distorto che l’ha portata, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, ad essere confusa con una prostituta. Capitava spesso, nel secondo dopoguerra, che molte donne giapponesi per poter tirare avanti e non morire di fame si concedessero ai soldati americani, purtroppo queste cadevano conseguentemente nel vortice della prostituzione e venivano additate come geisha-girl.
Dunque l’immagine di un’artista pura che arriva a noi distorta a causa di film che poco hanno approfondito l’argomento ma che hanno “contaminato” molto l’immaginario collettivo e a questo proposito, oggi più che mai, il messaggio che sta portando avanti l’ambasciata giapponese in Italia e nel mondo, proponendo spettacoli con le geishe, è proprio quello di correggere il concetto distorto di un mondo artistico e poetico.
“Ogni kimono ha un significato particolare, in base ai disegni, alla lunghezza delle maniche e alla lunghezza dello strascico, ad esempio quello che sto indossando io”, spiega ancora Sophie, “è un furisode da matrimonio meglio conosciuto con il termine uchikake, le maniche sono molto lunghe e soprattutto nello strascico c’è un imbottitura molto particolare che serve a rendere la camminata della sposa ancora più spettacolare. Sotto l’uchikake che viene portato regolarmente aperto, quindi non chiuso con l’obi, la tradizionale cintura alta, le spose indossavano e indossano, dei kimono bianchi, perché questo significava che la sposa era pronta come una tela bianca a farsi disegnare dalle tradizioni che doveva apprendere andando naturalmente in sposa al proprio amato.”
Madrina della kermesse l’attrice e modella Simona Tassone, la quale ha tenuto a spiegarci che un kimono può essere adatto anche ad una donna curvy, “un kimono può essere adatto anche ad una donna morbida e il messaggio che voglio dare è proprio quello di diffondere l’amore per noi stessi e per il nostro corpo e testimoniare che la bellezza di ogni donna è bella a prescindere dalla taglia quindi, il kimono, che sia per persone un po’ più robuste che sia per persone più magre è un indumento che si va ad adeguare al corpo, non come in occidente che siamo noi ad adeguarci all’abito.” Simona Tassone per l’occasione ha indossato un kimono rosa con dipinti dei fenicotteri, simbolo di fortuna e benessere. Fotografa d’eccezione e special guest, Lily Di Marco, collaboratrice di Vogue.