“Sei in smart anche tu? Allora prendiamoci un caffè”. Nei condomini di NoLo a Milano, ma un po’ in tutta la città, il cambiamento repentino imposto dallo smart working si fa sentire. Ci sono più giovani in casa durante il giorno, le strade dei quartieri lontani dai grandi uffici sembrano più tranquille, ma l’interno dei palazzi è sicuramente più vivo.
La doppia foto che abbiamo scelto per questo servizio sintetizza l’inedita situazione nella città più frenetica d’Italia in questi giorni: metropolitane vuote, uffici pop-up casalinghi pieni. Segno dei tempi, segni dell’impatto che tecnologie e Coronavirus stanno avendo sulle vite di tutti. “Ci siamo finalmente viste dopo settimane che ce lo ripromettevamo”, dicono Maria e Simona, mamme lavoratrici con una bella fetta di vita da consegnare alla loro azienda, in tempi normali. Ora si sono organizzate, con i figli che giocano assieme in tranquillità visto che le scuole sono chiuse, e loro in pausa dal telelavoro.
Benvenuti nella rampante Milano anno 2020, dove lo smart working, una vera trasformazione culturale per le aziende, era già usato con disinvoltura. Certo, era qualcosa che atteneva alla sfera individuale prima di domenica 23 febbraio. Ora diventa una condizione comune e rallegra il ritrovarsi assieme, ci si sente come in una nuova avventura dove non si è soli. “Da un lato si sperimenta l’isolamento forzato dai colleghi – racconta Ivana, in città da un anno, per la prima volta telelavoratrice per un’intera settimana – e dall’altro si cementificano invece i rapporti di prossimità. Un sacco di mamme degli amichetti di mio figlio sono nella mia condizione in questi giorni”.
Siamo partiti da NoLo perché al momento sembra essere il quartiere con il maggior numero di giovani professionisti a Milano, che usano il lavoro a distanza. “Vero, all’estero si usa di più la definizione Telecommuting o Remote Working – racconta Vincenzo, che per lavoro si sposta molto perché il suo brand fa affari soprattutto con gli asiatici – ma la sostanza non cambia. Anzi, per una volta l’Italia ha superato gli altri e si è dotata di una dicitura che è pure più semplice da ricordare e indica un modo “intelligente” di lavorare, smart appunto. Unico problema è la ricaduta che la chiusura delle scuole sta avendo soprattutto sulle colleghe. Alcune non sanno come sistemare i bimbi mentre lavorano da casa”.
Risvolti sociali a cui spesso non si pensa. Su questo l’Italia non è preparata, in effetti. Siamo ancora alle prime battute di un cambiamento radicale di organizzarsi la giornata. Benché si spera sia circoscritta, la modalità è davvero inedita: “Dal punto di vista lavorativo per noi consulenti non cambia tanto – ci dice Ivan Martelli, consulente di comunicazione strategica per importanti brand di cui cura la corporate communication – perché per la natura del nostro lavoro potremmo stare ovunque. Certo, manca il confronto immediato, l’incontro nei corridoi, scambiare opinioni dei meeting. Coi clienti è tutto un po’ più bloccato, nessuno fa new business in questi giorni. Vengono spostati appuntamenti, si è prudenti con gli investimenti, conferenze già indette vengono annullate. La progettualità è ferma. Strategicamente il nostro lavoro è arenato. Se a questo aggiungi che tra i miei clienti c’è un famoso produttore di disinfettanti per mani, puoi immaginare che grande vivacità sto vivendo”.
Ivan sta sperimentando però una certa dose di frustrazione: “Sono seccato dal punto di vista personale, ho in sospeso alcune decisioni, devo partire per un viaggio, sono anche io in stand-by. Tutto considerato, reputo catastrofico l’allarme che c’è. Per il resto sto bene a casa. La cucina è diventata il mio studio, il wi-fi va bene, per fortuna”.
Consulenti, impiegati. Il popolo degli smart-workers che di questi giorni frequenta a sorpresa i supermercati di prossimità a Milano è davvero variegato. Di ogni origine regionale, solitamente in piccoli nuclei famigliari, con delle alte specializzazioni da raccontare. Mario, esperto in sicurezza, abituato a lavorare senza orari in loco o in remoto, è un “attendista per natura, non mi dispiace dedicarmi di più al lavoro da casa”. La sua azienda glielo permette una volta a settimana, in questi giorni eccezionalmente per tutto il tempo che vuole: “L’attività in se non è cambiata, l’unica cosa che manca è il contatto fisico con le persone nelle riunioni. Faccio attività di coordinamento con diversi paesi nel mondo non noto molta differenza. Poco rilevante l’impatto, maggiore semmai è il carico di lavoro nelle ore centrali della giornata dove sono costantemente richiesto al telefono o al pc”.
Come work life balance un miglioramento c’è: “La giornata si alterna tra pc, serie tv e definizione di menù pranzo e cena che sinceremente era un’attività ormai desueta per quanto mi riguarda”.
Roberto, content manager di un famoso website di informazione, ha scritto sui suoi social una cosa che ci ha fatto sorridere: “Lo smart working ti permette cose che rimandavi da mesi: pulizie in casa e doppia lavatrice in un giorno”.
Simone Dell’Aglio è invece un graphic designer: “La mia azienda, Mai Tai, si occupa di eventi e opera nella zona di NoLo, anche noi in smart working. L’iniziativa è partita dai nostri titolari, uno di Milano e uno di Lodi, che per fortuna è fuori dalla zona rossa. Hanno avuto la premura di proporci questa modalità. Facciamo molte videochiamate, specie con Meet di Google, è come se facessimo riunioni assieme stando a casa nostra. Quello che è cambiato è la dimensione: siamo soli, mancano le pause coi colleghi, la confidenza, il caffé, l’abbraccio. Siamo un gruppo molto affiatato, mi mancano i miei amici che sono i miei colleghi”.
L’iter lavorativo non è più difficile, ci racconta: “Gli strumenti di lavoro restano gli stessi, condividiamo l’accesso del nostro server da remoto, speriamo che comunque la situazione migliori. Credo che tutto sia volto a limitare il contagio massiccio, ci atteniamo alle restrizioni. Piuttosto, per il mondo degli eventi e dei locali non è un momento facile. Già in pochi giorni si vedono le preoccupazioni, non vediamo l’ora di tornare ai nostri ritmi milanesi, che sono sempre in salita”.