Sylvie Vartan, prima moglie di Johnny Hallyday, ieri ha detto: “Ho perso l’amore della mia gioventù“. Ed è questo fondamentalmente il motivo per cui non solo i francesi, ma tutto il mondo piange la scomparsa del cantante simbolo della Francia del Novecento, quella stessa nazione che ha fatto della cultura da esportazione e del “bon vivre” un’estetica da bandiera, da sventolare con orgoglio.
Per spiegare agli americani l’importanza di Hallyday nella cultura francese, la CNN dice: ha venduto più dischi dell’icona globale David Bowie. Noi vi diremo, per chi non lo ha conosciuto in Italia, che era la sintesi del rock di Celentano e della canzone rassicurante d’eleganza di Bobby Solo. Solo con qualche venatura trasgressiva in più, che lo ha reso protagonista delle cronache degli anni 60 e 70 come nessun altro in patria.
Johnny era anche uno che per fare i dischi di successo andava a Los Angeles, che ha collaborato con Bono per la scrittura di un brano, I Am The Blues, una riconoscenza autentica di validità. Uno che, in obbedienza alla moda dell’epoca, traduceva canzoni rock di altre lingue e le divulgava in patria (proprio con i 24mila baci di Adriano Celentano).
Ma soprattutto Hallyday, con i suoi concerti-evento negli ultimi 15 anni a Parigi, con centinaia di migliaia di persone, ha dimostrato che l’età che rappresentava, non era passata di moda, anzi, aveva cementificato le generazioni. Tutti volevano vederlo almeno una volta, questo Cavaliere della Legion Francese che ha trascorso gli ultimi anni a godersela tra Gstaad in Svizzera e il deserto della California, dove a 74 anni andava ancora a scorrazzare con la sua Harley Davidson dormendo in anonimi motel.
Avventuriero questo Elvis francese, l’ultimo grande idolo di una nazione che assieme all’eleganza, ha esportato nel mondo anche un nuovo modo di intendere il rock.