Mario Sironi è artista celebrato del nostro patrimonio del Novecento, che fece della sua adesione al regime negli anni 20 una scelta anche artistica. Fu in quegli anni che passò dal Futurismo al Classicismo ed è proprio di quel passaggio che la Galleria Harry Bertoia di Pordenone vuole rileggere l’evoluzione. La mostra “Mario Sironi. Dal Futurismo al Classicismo 1913-1924” a cura di Fabio Benzi, esperto conoscitore di Sironi già curatore dell’indimenticabile mostra del 1993 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, è sicuramente la più grande organizzata negli ultimi due decenni.


L’ARTISTA – Mario Sironi nasce a Sassari il 12 maggio 1885; il padre Enrico, di origine lombarda, era ingegnere del Genio Civile. Già nel 1886 la famiglia si trasferisce definitivamente a Roma, dove Sironi incontra alla Scuola Libera del Nudo di via Ripetta, Boccioni, Severini e il loro più anziano amico e maestro Giacomo Balla.
Nel 1906 è a Parigi, dove abita insieme a Boccioni, che lo definirà “il mio migliore amico e l’ultimo”. Una serie di crisi depressive e nervose condizionano la sua attività di quegli anni. Dal 1913 aderisce con entusiasmo al futurismo e nella prima guerra mondiale si sposta a Milano, entrando a far parte del gruppo dirigente futurista. Prime grandi mostre a Milano, contaminazioni con De Chirico e Carrà seguono nella sua formazione. Nell’aprile 1920 firma insieme a Funi, Dudreville e Russolo il manifesto futurista.
Successivamente (1921-1922) abbandona il futurismo ed entra in una fase di “ritorno all’ordine”, di classicismoespresso da Veneri e da architetti, da personificazioni della malinconia e da figure statuarie. Il gruppo del “Novecento” fa sue le tendenze del ritorno all’ordine milanese: intorno a Sironi troviamo Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi. L’adesione di Sironi al fascismo lasciò una traccia notevole nella sua opera; dagli anni Venti soprattutto, maanche in seguito, eseguì per “Il Popolo d’Italia” una quantità enorme di illustrazioni.

Nel 1933 con Campigli, Carrà e Funi, firmò il Manifesto della Pittura murale. In questa utopistica ideologia di arte totale, Sironi arriva a rinnegare il quadro da cavalletto: i suoi mosaici e affreschi, che con gli splendidi cartoni preparatori sono quanto di più straordinario abbia prodotto l’arte italiana di quel decennio. Prima della sua morte nel 1961 il suo nome fu accostato agli avanguardisti della pittura materica.

LA MOSTRA – La mostra si inserisce in un momento di grandissimo interesse per la cultura degli anni ’20 in Italia, alimentato da un intenso dibattito sui Populismi e dal grande successo di pubblico del libro di Antonio Scurati M Il figlio del secolo. Inoltre, le mostre gemelle di Milano e Rovereto dedicate a Margherita Sarfatti, protagonista nei giornali e nei salotti, critica d’arte e figura di spicco della scena artistica e culturale del ‘900, nonché musa e amante del Duce, hanno rinnovato l’interesse verso la pittura italiana del ‘900 e i suoi protagonisti.
In questo contesto, la mostra alla Galleria Bertoia ha il privilegio di presentare circa duecento opere appartenenti ad una fase cruciale dell’evoluzione stilistica di Mario Sironi (1885-1961). Mario, pittore, illustratore, grafico, scultore, architetto, scenografo, è tra le figure più originali, intense e radicali del secolo scorso. Il focus è su un decennio fondamentale dell’evoluzione artistica di Sironi che spazia dall’adesione appassionata all’avanguardia, che incrocia con esperienze eccentriche (come l’attenzione per l’ambiente cubo-futurista russo), al dramma della Grande Guerra che lo tocca da vicino, con le perdite di artisti e amici (uno fra tutti Boccioni), fino alla ricerca di nuovi equilibri che vedono un lento avvicinamento al ritorno all’ “ordine” (quello voluto dal Duce) pur passando attraverso le sperimentazioni spaziali della Metafisica di de Chirico. La mostra diventa quindi l’occasione per una rilettura complessiva del percorso dell’artista e si presenta ricca di novità e di nuovi dati documentari e interpretativi.


Risalgono agli anni presi in esame alcuni temi estetici e poetici cruciali per Sironi: dalle celebri immagini futuriste di camion e ciclisti, all’invenzione dei “paesaggi urbani” (le famose periferie icone della città novecentesca), dalle ieratiche figure neo-classiche alle scene politiche delle sue illustrazioni. Tutti indizi del suo desiderio profondo di voler incidere con il linguaggio artistico non solo sull’estetica, ma anche sulla vita sociale del nuovo secolo.
La mostra permette di ammirare alcuni tra i più celebri dipinti, come il primo Paesaggio urbano (esposto nel 1920), l’Architetto, (esposto alla Biennale di Venezia del 1924), o ancora Solitudine del 1925, (esposto alla Prima Mostra del Novecento Italiano voluta da Margherita Sarfatti). Vi sono anche capolavori non fruibili da diversi anni, come i dipinti futuristi Testa del 1913, e Il Viandante del 1915, che si ritrovano in compagnia agli emblematici Paesaggi urbani, e alle figure classicheggianti, che costituiscono l’aspetto più noto dell’artista.
Ai dipinti sono affiancate numerose opere grafiche e un centinaio di illustrazioni testimoni della fervida attività che Sironi dedica a diverse riviste (da “Noi e il Mondo” a “Gli Avvenimenti”, alle “Industrie Italiane Illustrate”, e al “Popolo d’Italia” di Benito Mussolini).
Il fil rouge della mostra è l’impegno sociale, divulgativo, politico di Sironi, senza il quale la sua stessa attività pittorica sarebbe priva di senso.
La mostra è stata resa possibile grazie alla collaborazione con i maggiori musei italiani quali la Galleria Nazionale di Roma, il Guggenheim e Ca’ Pesaro di Venezia, il Castello di Rivoli o le Gallerie Comunali di Palermo.
Il catalogo, edito da Silvana Editoriale, presenta saggi del curatore Fabio Benzi, di Francesco Leone ed Elena Pontiggia.
Comune di Pordenone – Galleria Harry Bertoia, Palazzo Spelladi, Corso Vittorio Emanuele II, 60
fino al 9 dicembre2018
Orario di apertura:da martedì a venerdì dalle 15 alle 19; sabato e domenica dalle 10 alle 13
e dalle 15 alle 19.Chiuso 1° Novembre