Settimio Benedusi è uno dei maggiori fotografi del fashion mondiale. E siccome in Italia prendiamo tutti molto sul serio la moda, ne deriva che Settimio Benedusi è un vero vanto per tutti gli italiani che amano l’arte e il bello.
Vederlo recentemente su pagine e pagine di quotidiani avrà stupito qualcuno. Settimio è un nome conosciutissimo tra gli addetti ai lavori, perché tutto questo chiasso mediatico? Perché da vero artista, Settimio Benedusi si è interrogato sul valore della sua arte. E ha provocato: in viaggio da Imperia a Milano a piedi per 10 giorni per capire se la fotografia ha ancora un senso. Il fotografo infatti ha offerto quello che di meglio sa fare (fotografare) a chiunque lo aiutasse a rientrare a Milano.
Ci è tornato, eccome. “Ci ho messo 12 giorni – commenta – ma ho forse provato che la fotografia è ancora importante“.
Abbiamo intervistato Settimio Benedusi su quello che espone all’edizione 2016 di MIA Photo a Milano.
Che foto hai preparato nello stand?
Tutte le stampe presenti sono analogiche, fatte con camera oscura, tutte con tecnica di stampa ai sali d’argento o platino palladio. Sono le tecniche della fotografia classica di una volta. Ho voluto farlo perché è il supporto migliore per mantenere la stampa per sempre.
Hai esposto questi nudi sovrapposti che fanno dimenticare, oltrepassano la bellezza delle modelle che solitamente ritrai. Perché?
Il lavoro di nudi è stato tecnicamente molto particolare, ho usato pellicole polaroid 665 vecchie che non esistono più, le ho trovate in cantina e sono scadute da 10 anni. Avevano il positivo e anche il negativo in bianco e nero. Un ritrovamento molto affascinante. Luce naturale. Il corpo perde la sua identità per diventare una mappa visiva, dove, grazie a doppie e triple esposizioni, senza Photoshop, trova delle nuove dimensioni, nuove e impreviste identità.
Mentre dall’altro lato ci sono delle foto di famiglia molto toccanti.
La fotografia inevitabilmente attinge dalla memoria, lavora sui sensi. Il lavoro è dedicato al mio papà ed è stato fatto sulle foto di famiglia sul papà che è mancato 8 anni fa. Con il linguaggio della mia contemporaneità sono andato a fare un’operazione radicale e dolorosa, rimuovendo mio padre con Photoshop. Crea identificazione, presumo che a tutti capiti di perdere un caro. Il mio concetto non era di farlo su di me ma sull’assenza di qualcuno che quando sei piccolo ti sorregge e capire se ti sorregge anche dopo che non c’è più. Una metafora degli affetti, insomma.
Dopo questa indagine intimista, come approcci il tuo lavoro nel mondo della moda?
La moda la approccio in maniera uguale a prima, è chiaro che quando faccio queste cose metto tutto me stesso, sono interamente io al mille per mille. Non saprei come spiegarla, sono due cose diverse. La foto commerciale o di moda ha una meravigliosa libertà anche in quello, nell’essere dentro un perimetro. Sono due cose diverse, belle ambedue.
Che effetto ti fa riguardare la tua documentatissima carriera?
Sono nato in provincia, di fronte all’amato Mar Ligure e ho iniziato a fotografare per passione, quando studiavo al liceo classico. Sono arrivato da ventenne a Milano e mi sono ritrovato dagli anni 80 in poi a girare il mondo. Con la maturità ho iniziato a provare interesse per altro, queste fotografie della mia infanzia recuperate nei cassetti della memoria ne sono un esempio.
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