La strategia fa moda. I brand del lusso stanno investendo innumerevoli risorse nel perfezionamento della loro brand image. Sforzo volto a generare customer equity (valore della clientela) ed una solida customer loyalty (fedeltà del cliente).
Quando però, con il passare degli anni, le preferenze del cliente inevitabilmente cambiano, i marchi devono necessariamente modificare la loro immagine, arrivando ad agire operazioni di re-branding tra cui un cambiamento radicale del nome, del logo, della gestione dell’immagine, delle strategie di marketing, di vendita, delle politiche pubblicitarie, degli slogan. Diverse case di moda l’hanno già fatto; alcune con successo, altre meno, ma tutte con il medesimo obbiettivo di rilanciare il marchio. L’operazione più comune è la semplificazione del nome. Non è complessa e dà un immediato e visibile refresh al marchio.
1909 The House of Chanel, oggi Chanel.
1946 Christian Dior, oggi Dior
1952 House of Givenchy, oggi Givenchy
1913 Fratelli Prada, oggi Prada.
Tuttavia ciò non significa che automaticamente tutte le operazioni vadano a buon fine. La prima grande azione di re-branding che ha avuto successo è stata quella che Bernard Arnault, presidente del gruppo LVMH, ha voluto attuare su Cèline, storica maison francese creata nel 1945, rilevata nel 1996 da LVMH per 2,7miliardi di franchi e dal 2008 nelle mani della raffinata visionaria e “per niente social” Phoebe Philo che ne ridisegna totalmente l’immagine e il logo, riducendolo ad un minimale e piccolissimo marcage dorato; in totale contro tendenza con tutti i loghi e i vari monogram presenti.
L’operazione fa da apripista a progetti di cambiamento ancora più radicali. A volte, per continuare ad essere rilevanti, può essere necessario guardare al passato con una operazione di retro branding e Yves Saint Laurent diventa Saint Laurent Paris. Alla direzione creativa arriva Hedi Slimane, non estraneo dal prendere decisioni audaci; cambiò infatti nel 2001 il nome Christian Dior Monsieur in Dior Homme rivitalizzando incredibilmente le vendite.
In realtà in questo caso Slimane userà lo stesso font e la stessa nomenclatura del primo nome della maison che era appunto Saint Laurent Rive Gauche. Dopo più di dieci anni, nel 2013, avverrà un altro successo commerciale con vendite e riposizionamento di immagine che schizzano alle stelle.
YSL appartiene a Kering Group dal 1999. Qui arriva il punto; i due grandi gruppi multinazionali del lusso a confronto. LVMH vs KERING. Da sempre le due entità cercano di spartirsi il mercato a colpi di acquisizioni. Uno acquista Cèline, l’altro YSL. Uno Louis Vuitton, l’altro Gucci. Uno Fendi, l’altro Bottega Veneta. Uno Givenchy, l’altro Balenciaga. Uno Loro Piana, l’altro Brioni Uno Bulgari, l’altro Pomellato.
Un grande duello a colpi di acquisizioni e strategia di management tra i due presidenti, Arnault vs Pinault e i loro due grandi top manager e strateghi, Micheal Burke (LVMH) vs Marco Bizzarri (KERING).
Assieme, le due multinazionali detengono gran parte del valore totale del mercato mettendo assieme i linguaggi di industria, finanza e cultura. Tutti questi grandi numeri, strategie e colossi, si traducono nel quotidiano in prodotti che usiamo, indossiamo e desideriamo.
L’operazione fatta da Marco Bizzarri su Gucci ne è l’emblema odierno. Affida ad Alessandro Michele la responsabilità di tutte le collezioni di prodotto e dell’immagine del marchio scegliendo un direttore creativo pressoché sconosciuto (seppur in azienda da più di 10 anni) trovandosi perfettamente allineati sulla nuova visione contemporanea da dare al marchio.
Il talento di Michele e la strategia di Bizzarri fanno balzare in avanti Gucci con un +12.7% e nell’ultimo trimestre con un +21.1%.
Michele ha ribaltato come un calzino il marchio. Lo ha rinfrescato, ringiovanito, riallineato con i trend, dando un messaggio di totale libertà di espressione attraverso un mix id materiali, colori, applicazioni, stampe. Avvicinando il linguaggio ai giovani e rinvigorendo il legame con i senior, sensibili allo stile; reimpossessandosi di un senso di appartenenza alla cultura italiana usando il barocco e rendendolo sfacciato e crudo, quasi punk; togliendogli l’aria borghese e bon-ton che aleggia attorno ad altri marchi simbolo dell’italianità e del barocco.
T-shirt bucate, maglioncioni larghi, jeans con patch colorati, quasi a coprire i buchi di uno strappo, ridando vita ad oggetti che sembrano vintage ma diventano prodotti preziosi e di forte immagine, da desiderare, possedere, indossare.
Il “vecchio” cede il passo all’antico. Un oggetto, in quanto antico ha più valore e questo valore aggiunto gli è dato dalla stessa sensazione di aver attraversato tempi ed epoche che rievocano emozioni, ricordi, sensazioni, volti di persone care. Toccando profondamente la parte emotiva e richiamando vecchi e sani valori.
Valori che andremo inevitabilmente a ricercare nei negozi; dove la geniale operazione di merchandising ci farà rivivere questa esperienza in qualunque oggetto: dall’anello agli occhiali, dalla calzatura alla pelletteria, dal jeans all’abito da gran sera e, notizia di questi giorni, ad oggetti di design ed arredamento, creando così un vero e proprio lifestyle.
Pur di portarci a casa questa sensazione, accetteremo di comprare una t-shirt da 300 euro o un paio di sneakers da 650 autoconvincendoci di aver agito razionalmente qualcosa di irrazionale, passando così dal bisogno al desiderio, cercando non più un venditore che spieghi, ma qualcuno che narri una storia, qualcuno che non debba convincere, ma che sappia sedurre ed emozionare.
E con questa strategia, ciò che potrebbe sembrare follia creativa, tutto a un tratto, diventa pura, vera e concreta poesia romantica contemporanea.
“BLIND FOR LOVE”…everyday!