Mentre il dibattito sulla legalizzazione della cannabis entra nel vivo, con le firme raccolte dal referendum consegnate in Cassazione e l’iter per portare in Parlamento un ddl per la depenalizzazione dei reati previsti dalla normativa vigente, in Italia continua a crescere il mercato della cannabis legale ‘light’. La produzione di questo tipo di prodotto è disciplinata da una legge-quadro, in vigore dal 2017, nonché da specifiche norme europee. In questo articolo vediamo quali sono le disposizioni normative in materia e quali caratteristiche rendono tali sostanze ‘light’ e ‘legali’.
I riferimenti normativi
Il principale riferimento normativo in materia di cannabis legale è, in attesa di eventuali aggiornamenti o modifiche della legislazione vigente, la Legge n. 242 del 2 dicembre 2016, recante “disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”. La normativa, il cui obiettivo è “il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa (Cannabis sativa L.)”, come si legge all’articolo 1 del testo di legge, ha permesso la nascita e lo sviluppo di una nicchia di mercato dedicata ai derivati ‘light’ della cannabis.
La legge-quadro stabilisce che la canapa può essere coltivata e lavorata per produrre:
- alimenti e cosmetici, nel rispetto della legislazione di riferimento di ciascun settore;
- semilavorati, quali fibra, canapulo, cippato e simili;
- materiale per il sovescio;
- materiale per la bioedilizia e la bioingegneria.
La cannabis sativa L può essere inoltre utilizzata per creare coltivazioni florovivaistiche o a scopo didattico nonché per la bonifica di siti inquinati.
Cosa vuol dire “cannabis light”
La cannabis light è una versione ‘leggera’ della cannabis comune. Cosa vuol dire, in concreto? La definizione – non ufficiale – di prodotto ‘light’ viene applicata ai derivati della canapa sativa (esclusa quella destinata all’uso farmaceutico) il cui contenuto di THC è inferiore o pari ai limiti stabiliti dal Ministero della Salute. Tramite un apposito decreto ministeriale, il dicastero ha individuato le quantità massime di tetracannabinolo ammissibili negli alimenti, ovvero 0,5% (5 mg per chilo) nell’olio e negli integratori e 0,2% (2 mg per chilo) nei semi (e relativi derivati, inclusa la farina). In aggiunta, affinché tali sostanze siano ammesse alla commercializzazione in Italia, è necessario che siano prodotte dalla cannabis Sativa L., ossia l’unica varietà iscritta nel “Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole” e, pertanto, coltivabile, anche senza autorizzazione, sul territorio italiano.
Canali di vendita
I derivati dalla cannabis legale si trovano in vendita presso negozi fisici al dettaglio oppure online, su e-commerce specializzati come prodotti-cannabis.it che offrono un ampio catalogo con diversi tipi di hashish light ed altri prodotti con le stesse caratteristiche. In ogni caso, ciò che conta è affidarsi a canali sicuri e trasparenti, per non alimentare il mercato della distribuzione illegale (con le possibili ripercussioni del caso) ed avere la certezza di acquistare un prodotto sicuro e a norma.
Caratteristiche ed effetti
La cannabis light è si caratterizza principalmente per le forti note aromatiche; presenta generalmente un odore ben riconoscibile, talvolta leggermente acre ma mai sgradevole, arricchito da note vegetali, fruttate e speziate (questo aspetto dipende anche dalla varietà di semi utilizzata). Per quanto concerne gli effetti, alla luce della presenza quasi nulla di THC, non agisce come psicotropo, né interferisce con le capacità sensoriali ed intellettive dell’individuo. Reazioni più intense possono essere provocate da mera intolleranza o da ipersensibilità alle sostanze contenute all’interno del prodotto. In linea di principio, agisce quasi sempre come rilassante, aiutando a far diminuire stress, ansia e affaticamento, anche muscolare; può aiutare ad attenuare il dolore, a conciliare il sonno e favorire il riposo (per via dell’azione blandamente sedativa). Ciò nonostante, i derivati ‘leggeri’ della cannabis non sono in grado di sostituire – né mai dovrebbero – i farmaci specifici per il trattamento di dolore cronico o altri disturbi.