Quando viveva in Brasile non conosceva molto della produzione vinicola italiana. L’interesse per i vini però c’era e ha condoto Flavio Manzan, 30 anni, da 5 anni in Italia, fino nel nostro paese. Che oggi considera il posto “migliore per diventare sommelier e scoprire le tecniche di produzione e conservazione dei vini”.
L’attestato di sommelier Flavio, che sui social media si è battezzato “Il sommelier brasiliano“, l’ha ottenuto a Venezia. “La città lagunare è stata il mio primo approdo professionale, ho iniziato a lavorare al The Venice Venice Hotel“. Da lì una passione travolgente, che oggi l’ha portato nel quartiere della gastronomia multietnica milanese, Porta Venezia (è sommelier al Caffè Mema) e presto lo farà sbarcare anche in libreria. “Per il momento – ci dice – ho scritto anche un libro in portoghese che sta per essere pubblicato. Si chiama ‘Il vino del diavolo’, perché questo è il nomignolo che si attribuisce ai vini frizzanti. Io invece lo accosto a un’esperienza di lavoro dura, che mi ha però formato molto”.
Con il sogno ancora nel cassetto, di aprire la sua enoteca virtuale, oggi Flavio si sta facendo conoscere dall’esigente clientela milanese. “Credo sia anche una platea molto varia – puntualizza – perché la location dove sono è incentrata sulla cucina siciliana, ma qui arrivano clienti di tutti i tipi, soprattutto giovani che non faccio fatica a convincere verso la sperimentazione. Per me Dio è il vino e i produttori sono i santi. Quindi per avvicinarci a Dio dobbiamo lasciare da parte le devozioni dei singoli e credere solo nella bontà della proposta”.
Dell’Italia vinicola, proprio a proposito dell’esperienza in un luogo che richiama la Sicilia, sta ancora prendendo le misure. Ed è interessante osservare come uno straniero si impianta nel dibattito eterno tra le supremazie dei vini regionali: “Questa è una caratteristica di questo meraviglioso Paese. Si fa difficoltà a vendere un vino siciliano ai veneti, ma non è impossibile. Del resto è la bellezza dell’Italia: l’attaccamento ai prodotti che sono orgoglio regionale. Il panorama dei vini che c’è qui è vario. Donnafugata vuole recuperare vitigno autoctono al Sud, mentre Alberto Masucco dal Piemonte, è l’unico produttore italiano a fare Champagne nella regione francese”.
Flavio è un appassionato di vini francesi. “Anche di quelli denominati metodo classico. Per me il vino è emozione mentre lo Champagne è piacere. Non vedrete mai una persona triste con un calice di Champagne“. E per un consiglio su regali natalizi? “Attualmente le annate migliori per il Dom Perignon sono quella del 2008, per i vini italiani quella del 2015″.
Consigli per gli acquisti recepiti. Ma immergendoci in una professione per certi versi misteriosa, vien voglia di capire come si fa a vendere questa enorme quantità di vini che il mercato ci mette a disposizione. “Vendo il vino in base al corpo del prodotto – dice sicuro il sommelier brasiliano – e infatti al tavolo chiedo se preferiscono un vino leggero, medio, strutturato. Così è più facile intuire i gusti perché spesso nemmeno chi si siede ha un’idea precisa. Dalle parole delle proposte nascono idee: sulla gradazione, sulle note che possono essere tabacco, vaniglia, legno. E poi c’è l’abitudine che guida molte delle scelte. C’è chi è abituato a fare pairing azzardati, chi come i veneti considera alcuni vini diurni normalmente, come il Prosecco. E poi dialogo con clienti, sempre con umiltà, verso l’esperienza: racconto come un calice possa essere secco, minerale, salato e dolce”.
Flavio è coinvolgente ed entusiasta delle sue scelte. Sopra lo vediamo con il certificato da sommelier e al termine di una master class con Alberto Lupetti (celebre degustatore di Champagne) durante la Milano Wine Week 2022. E l’entusiasmo verso la sua professione si ripercuote in quello che comunica, infatti confessa che le sue wine suggestions sono quasi sempre seguite da sentiti ringraziamenti da parte dei clienti. “Non serve metterli a disagio con tante parole – dice – ovviamente il degustatore sono io, è richiesta a me la cultura del vino. Serve solo conoscere differenze, anche del metodo produttivo perché se l’affinamento è in botte di legno o di acciaio il risultato cambia. E questo il cliente è bene che lo sappia”.
Altro aspetto intrigante del suo ruolo, dice, è la fase di studio sul produttore, a cui segue il racconto e poi le percezioni delle persone che assaggiano. “Io sono del parere che è inutile insistere nel convincere ma meglio concentrarsi sulla conoscenza. Spesso i vini del Sud Italia sono da terreni vulcanici e molto minerali e sapidi. Mentre alcuni del Nord sono più duri. Io apprezzo anche il Moscato, una particolarità italiana. E poi mi piace l’arrogante e duro Orange wine, nato da lunghe macerazioni. Il mio preferito in questo momento è il Gravner, un vino friulano particolare”.
Per motivi politici, il Brasile non ha permesso molta diffusione delle eccellenze italiane negli scorsi decenni. Molti vini che si consumano nelle tavole dell’immenso paese, arrivano da Argentina e Cile. Flavio racconta: “Il Cile è un produttore interessante, a volte patria di vini commerciali, a volte di produzioni molto strutturate. La particolarità è che lì non è arrivata mai la fillossera della vite, un insetto che sul finire dell’Ottocento ha provocato molti danni in Europa. Quindi in Cile ci sono ancora metodi antichi che sono sopravvissuti a quell’epidemia”.
Tra una visita a Valpolicella, contatti con i produttori, studi a casa e progetti di affinamento delle tecniche, Flavio si è fatto delle idee sui produttori che vuole condividere: “Oggi si sa che un’annata buona per lo Champagne è stata quella del 2012, al pari del 2015 per il Pinot nero. Ma sono convinto che nelle annate difficili riusciamo a capire se il produttore è bravo”.
Una similitudine l’ha anche catturato: “Voglio essere come le uve, che maturano e cambiano nel tempo. Per questo mi sto preparando per raccontare le eccellenze italiane ai brasiliani, che sono assetati di conoscere quello che succede qui. La vita nelle Americhe è per certi versi superficiale, qui c’è la vera storia. Voglio trasmettere ai miei conterranei la cultura degli abbinamenti, la scoperta dei piccoli produttori che fanno sperimentazione, la natura della materia prima. E anche raccontare come vivete voi il vino in Italia, l’idea che unisca le famiglie sia dal punto di vista dei produttori, che si tramandano aziende di generazioni in generazioni, e i consumatori, che si ritrovano attorno a un tavolo”.