Fa un certo effetto dover riconoscere l’innegabile successo dei libri di Jerry Calà, una personalità del mondo dello spettacolo che ha dato tanto all’Italia e all’umore degli italiani. Anche perché sia la sua autobiografia “Una vita da libidine” (Sperling & Kupfer) che il suo romanzo uscito qualche mese fa (“La Lavandorea” con Gino Capone, Biblioteka) non sono propriamente libri da comicità.
Jerry (intervistato nel 2019 da noi qui), all’anagrafe Calogero Calà, siciliano d’origine, adottato da Milano prima, e Verona poi, è nella sua scrittura quello che non ci si aspetta da un re dei tormentoni televisivi e cinematografici. Riesce a essere schietto quando parla della sua vita da immigrato al nord, del rapporto col figlio recuperato solo quando ha avuto di recente la “validazione” di un idolo dei giovani come J-Ax. E combina ricordi sensibili e drammi sociali quando parla di Cuba, di quella “Lavandora” (lavatrice) che la bella Juanita gli chiede in regalo nel viaggio immaginario (ma non troppo) nell’isola caraibica a metà anni Novanta.
L’artista e le memorie, un terreno già sondato da tanti altri. Ma il nostro Jerry orgoglio nazionale lo fa con delicatezza ed enfasi quando ci vuole, lontano dall’immagine “strillata” che molti programmi televisivi ci consegnano alla memoria collettiva. Leggerlo alle prese con le parole ci fa capire quanto comunicativo fosse anche all’epoca degli slogan da commedia. Approfondirne le incertezze e fragilità ce lo fa amare ancora di più, anche quando racconta nel romanzo delle luci e colori de L’Avana con una sorprendente commozione. Lunga vita alla sua voglia di comunicare col suo pubblico fedele, anche oggi, all’indomani dei suoi celebrati 70 anni (nel 2021) di cui 50 passati davanti allo scrutinio pubblico. La sua capacità di renderci gioiosi, tra sketch, musica e libri andrà ancora per tanto tempo celebrata.