Gianfranco Ravasi, autorevole biblista ed ebraista, è un grande divulgatore di tematiche storico-religiose. Tutti, credenti e non, sembrano essere rapiti dal suo eloquio. E stando al successo che sta avendo la sua “Biografia di Gesù” (Raffaello Cortina Editore, 2021) anche dalla sua penna. Il libro che è in classifica da settimane in Italia, scritto dal prelato che è stato nominato arcivescovo nel 2007 e cardinale nel 2010, è un percorso avvincente nella vita di Gesù e dei suoi contemporanei. Ma anche un approfondimento preciso e sentito della figura di Cristo e delle sue influenze nell’arte, letteratura e storia a seguire.
Duemila anni di travagli, lotte e dibattiti sull’origine del culto cattolico non sembrano scalfire la narrazione fluida di Ravasi. Che è talmente padrone della sua materia che può anche permettersi di sorprendere i lettori più intransigenti. “I Vangeli non sono libri storici in senso accademico: usarli con un approccio strettamente storiografico è possibile, ma non permette l’elaborazione di un profilo biografico compiuto e rigoroso di Gesù Cristo”, dice in un passaggio all’inizio del corposo saggio.
Senza voler ricomporre il quadro complesso del Gesù storico, oggetto di una sterminata ricerca critica, Ravasi cerca di individuare qualche traccia esterna in quel fondale storico-geografico che si dispiega nel primo secolo, cioè nell’orizzonte imperiale romano e nella piccola provincia palestinese. E questo è indubbiamente uno dei passaggi più avvincenti della narrazione, visto che l’unica biografia storica possibile di Gesù è quella che emergerà dai Vangeli. “In essi, però – avverte l’autore nel testo – i due fili della storia e della fede sono così intrecciati da non poter essere facilmente distinti e isolati”.
La vita e la morte di Cristo sono davvero delle pietre fondanti della storia dell’Occidente. E il racconto persuasivo e circostanziato del cardinale, in questo prezioso volume, arriva a farci percepire la morte di Cristo, come una morte reale, sigillata dalla pietra tombale della sepoltura. Un dato rilevante, questo, “per affermare che Cristo non fu una figura mitica, simbolo di un messaggio o di un’ideologia, bensì un uomo segnato da quel destino che tutti ci accomuna, il morire”.
E per i curiosi e affezionati ai dettagli, Ravasi dipana anche una volta per tutte l’annosa questione sulla “Tentanzione” indotta nel “Padre Nostro”. L’autore dice: “Per una corretta comprensione bisogna badare al sottofondo semitico e biblico. Innanzitutto, è necessario sottolineare – senza entrare nella complessa questione strettamente filologica – che l’italiano “indurre” è eccessivo rispetto al greco, che ha un “non portarci verso, non farci entrare” e persino “non permettere che siamo condotti”, diverso dall’“indurre”, che è uno “spingere” qualcuno a com- piere un’azione. Il senso di fondo è, allora, quello di non esse- re esposti e abbandonati da Dio quando incombe su di noi il rischio della tentazione”.