“Non avrei voluto vedere da fan cosa mangiava a colazione Bowie su Instagram“. Inizia così il documentario rock più interessante degli ultimi tempi, The Basktage Sessions, prodotto dal fotografo più amato dai musicisti, il britannico Rankin, e Wetransfer.
Il concetto è quello di dare spazio ai ricordi, alle aspirazioni e alle motivazioni dei fotografi che nel corso di 50 anni di rock hanno consegnato i divi che ci hanno fatto sognare alla storia. Che cosa sarebbe l’immaginario di una rockstar senza le foto che la definiscono? Cosa sarebbe Freddie senza il mantello di Wembley? Madonna senza una foto del reggiseno Gaultier? Pensi ai Beatles e ti viene in mente una foto, prima che una canzone.
Usiamo il passato perché siamo d’accordo con David Cummins, che nel documentario sintetizza al meglio la mancanza d’allure che ci fa dannare da qualche anno: perché, come dice Robbie Williams ultimamente, le rockstar erano sempre più interessanti prima?
Perché non c’erano i social network a raccontarci quotidianamente cosa facessero. Ce le immaginavamo, noi pubblico distante, alle prese con l’arte e la bellezza dalla mattina alla sera. Quasi non credevamo fossero umani come noi. Ascoltatevi i racconti sugli Stones, su Bowie e Kate Bush per capire cosa emanavano queste figure leggendarie anche a chi, come Cummins, Gered Mankovitz e David Montgomery, erano chiamati a ritrarli. Addirittura Mankowitz ricorda: “I musicisti sono persone come le altre, non sono modelli. Bisogna stabilrie feeling, e vorrei dire che non c’erano Polaroid all’inizio sui set quindi dovevano per forza avere fiducia in me, perché non potevano vedere sul momento quello che stavo facendo”. Altri tempi, altri miti. Sicuramente altre emozioni.
Foto d’apertura: The Rolling Stones, 1971 (foto di David Montgomery).