Dopo “Questioni di istanti”, il suo libro d’esordio, Roberta Giaretta torna in libreria con “Ribes nero”, un romanzo delicato e al tempo stesso anche introspettivo che porta in superficie la difficile situazione di Rebecca divisa da sua madre Elena a causa dell’Alzheimer. Sarà proprio questa presa di coscienza nell’affrontare la malattia che farà di Rebecca, suo malgrado, una persona in cerca di una visione delle cose molto diversa. Abbiamo incontrato Roberta Giaretta per parlare con lei del suo ultimo lavoro.
Esce a distanza di pochi anni il tuo secondo libro che si intitola “Ribes nero”. Il primo, “Questione di istanti”, raccontava una storia molto intima, questo secondo libro invece?
E’ un libro inaspettato in quanto non pensavo assolutamente di scrivere un secondo libro. E’ stato dettato, possiamo dire, dalla realtà, quindi, tornando alla domanda posso dire, azzardando un paragone, che se in “Questione di istanti” che era il racconto di una storia vera, molto intima e anche dolorosa, ho lavorato sulla realtà narrando una storia vera, con “Ribes nero” pur trattandosi sempre di una storia vera, ho inserito degli elementi di fantasia. “Questione di istanti” è stato scritto d’impulso senza nessun elemento che uscisse dalla realtà e raccontava la storia di Isabel, una donna che ne ha passate tante nella sua vita ma che ce l’ha anche fatta, seppur con qualche livido. Questo fu lo scopo, il punto di partenza per dare ad altre donne, o comunque ad altre persone in generale, una sorta di supporto o di aiuto. “Ribes nero” lo è a sua volta, perché si tratta sempre di una storia vera, nel libro ci sono elementi di fantasia, a differenza del primo, però è comunque basato su una storia vera e il fulcro della narrazione è proprio la veridicità della storia. Mi è piaciuto articolarlo aggiungendo qualche elemento di fantasia, qualcosa che desse più corpo al libro, che desse anche maggiore piacevolezza nella lettura. Creare una sorta di piccolo romanzo che come il primo libro avesse comunque un obiettivo.
Perché Ribes nero?
Il titolo Ribes nero è nato per caso, poi ha avuto un intreccio con tutta la narrazione in tantissimi e svariati aspetti, a partire dal fatto che il ribes per la protagonista Rebecca sembra quasi un frutto piccolo e gustoso come un talismano, un frutto miracoloso a cui lei inconsciamente dà il potere di rallentare il processo di invecchiamento della mente. Nel libro si parla di Alzheimer, questo è l’elemento principale. Sembra quasi che Rebecca affidi al ribes nero le ansie di questa temuta separazione, l’angoscia della perdita della madre Elena, la perdita che viene dall’interno senza che madre e figlia si allontanino fisicamente ma che è causa in Elena della progressione della malattia, e causa di dolore soprattutto in Rebecca. “Ribes nero” perché Rebecca abita in un luogo bellissimo, può fare lunghissime passeggiate nei boschi accanto al suo casale e ha così modo di scorgere questo piccolo frutto anarchico, introvabile, quando invece mentre siamo abituati a trovare il ribes rosso. Il ribes nero lo vede raro, lo vede affascinante, lo vede quasi imprendibile, passatemi il termine, Rebecca invece è abituata ad avere a che fare molto con le arance, fa spremute e spremute di arance per somministrare quotidianamente vitamina C ai suoi cari. Quindi, ribes nero in questo senso, scovato per caso e rivelatosi poi un vero anello di congiunzione, anche perché il ribes nero ha quel colore lilla violaceo che è considerato propriamente il colore dell’Associazione Alzheimer Italiana e quindi involontariamente ho dato questo titolo senza saperlo e per me è stata una rivelazione molto toccante.
Non si tratta solo di scrivere come esigenza personale ma c’è di più mi sembra di capire, un obiettivo ben preciso?
Più che di scrivere per un gusto personale, come magari poteva essere per “Questione di istanti”, in “Ribes nero” ho trovato una ragione ancora più forte, una ragione ancora più mirata verso il mio obiettivo, quello di un supporto, soprattutto parlando di una malattia devastante e così lunga, chiamata proprio il lungo addio quale è appunto l’Alzheimer, per cui ho trovato in questo lavoro la forza di raccontare una storia vera, ripeto, ma basata comunque su un obiettivo finale, quello di poter aiutare gli altri con un libro assolutamente non pesante, molto leggero, scritto anche in maniera, se vogliamo, delicata ma che arriva sicuramente allo scopo. Ci tengo a precisare che non è assolutamente un libro di stampo medico, anzi, vuole essere solo un racconto vero con una scrittura che possa andare al di là anche del dolore, perché comunque, Rebecca, la protagonista, si racconta sempre in maniera trafelata, sempre affaccendata, sempre tra mille impegni con il desiderio di un altro tipo di presenza in futuro, ma anche con la speranza, i sogni e con la capacità di poter vedere oltre, di poter vedere una soluzione per riuscire a convivere con questa malattia, a capirla, ad affrontarla nella maniera migliore, e quindi ad accettare anche il presente e il futuro con serenità.
Anche questa tua seconda storia è molto personale, il racconto di una malattia e la vicinanza con essa, quanto è difficile mantenere la credibilità della realtà lavorando sull’idea di romanzo?
Mantenere il rapporto, la credibilità tra realtà e romanzo è stato molto semplice perché si è trattato di un racconto veritiero, quindi un racconto che prende il malato nel suo passato, presente e futuro e queste sono parole veramente grandi che solo le persone che hanno a che fare con i malati di Alzheimer possono capire. Ma non è stato difficile per Rebecca perché per lei è una cosa ovvia agire in questo modo, basandosi sulle proprie radici per cui arrivare ad affrontare la malattia anche con tutta la sua capacità, anche per me scrittrice accennando a qualche elemento fantasioso senza mai deviare dalla realtà. Ecco, ho cercato di tenere il più possibile la realtà come è, quindi, gli elementi di fantasia, quei fattori che possono essere stati aggiunti sono una cornice a quello che in realtà è proprio lo stato dei fatti. Indiscutibilmente nulla è stato toccato della realtà per agevolare gli elementi di fantasia.
Come e cosa ti ha lasciato la stesura di questo romanzo?
La stesura di questo lavoro mi ha lasciato davvero tanto. Sto avendo dei riscontri di persone che hanno letto il libro molto belli, persone che magari si sono un po’ ritrovate tra le mie pagine. Questo libro mi ha lasciato molto soprattutto perché l’ho dedicato a una persona speciale. L’ho scritto durante le mie ore notturne quando solitamente è presente l’insonnia e con questo vorrei dire anche di più di “Questione di istanti”, il mio primo lavoro, perché è una realtà più vicina a me, una realtà attuale, non è più un passato, è un presente e un futuro per cui ce l’ho dentro, perciò quando hai qualcosa dentro questo ti inonda il cuore e la pancia e lo senti totalmente tuo. La stesura di questo libro mi avvolge completamente e penso che mi accompagnerà ancora per molto tempo, così come spero accompagni molti di voi.