La copertina dei dischi era per i rock fans dagli anni 60 in poi un oggetto di culto, un totem a cui riferirsi, un accompagnamento che definiva l’esperienza dell’ascolto.
Dagli anni Duemila in poi, l’importanza dell’artwork dei dischi è stata mortificata, più che sminuita, dal file sharing, soprattutto per le ridotte dimensioni delle icone che sui dispositivi digitali identificano la musica. Ma in realtà l’appeal della copertina dei dischi non è mai caduto, perché gli artisti pop-rock in primis si sono sempre affidati ad artisti in ascesa o consolidati per farsi promuovere con la copertina giusta.
Nel 2013 in Iowa, all’Anderson Gallery della Drake University, Frank Olinsky ha forse per primo invertito la tendenza dimostrando che il vinile, e la cover dei dischi in grande formato, stava per tornare a essere simbolo. Nella mostra The Material Aspect fu addirittura presentata un’installazione con centinaia di vinili esposti dal lato più sottile, quello di pochi millimetri del dorso.
Quest’anno la notizia della rimonta delle vendite dei vinili (in Inghilterra per la prima volta ai livelli del 1991) ha segnato il trend: l’attenzione torna sul grande formato e sulla dimensione artistica della copertina.
Francesco Spampinato per Taschen ha appena pubblicato un volumone di 440 pagine con copertine di dischi raccolte in 10 anni di ricerche. Si chiama, appropriatamente, Art Record Covers, e parte dai Beatles e arriva a Lady Gaga.
E noi oggi vi facciamo riscoprire quali sono le copertine del passato che non si può non conoscere.
Cominciamo con quella del 1967 dei Velvet Underground, probabilmente la più replicata sulle t-shirt di ogni epoca. A inventarla (non in questa versione, il concept originale prevedeva uno “sbucciamento”) fu Andy Warhol. E il suo discepolo ideale, Shepard Fairey si è cimentato 40 anni dopo con l’iconica immagine di Billy Idol per il suo best of, nello stesso anno in cui realizzò la celebre icona Hope per Obama.
Cambiano gli stili, le aspirazioni degli artisti e degli illustratori restano le stesse. Come Madonna che nel 1995 vede quello che Mario Testino ha fatto con Lady Diana e lo chiama per un servizio fotografico che la avvicina in tutto (anche negli abiti Versace) alla lady più famosa del mondo.
Mario Testino ha però messo a disposizione la sua arte anche per altre cover che sono ben lontane dal suo stile puro e glamour che riconosciamo sulle riviste di moda. Ha contribuito infatti al lancio mondiale dei Dead Or Alive con Pete Burns che cantava You Spin Me Round nel 1985. Sempre electro-pop, questa volta per i Visage, a firma di Helmut Newton. Col senno di poi, la copertina del loro disco è un vero quadro iconico, il cui valore ha superato la loro musica.
Il fotografo reale inglese Norman Parkinson, uno dei pochi artisti autorizzati a diffondere immagini private dei Windsor, ha provato l’ebrezza delle copertine pop in poche occasioni. L’ha fatto per Aretha Franklin e per gli Arcadia, negli anni Ottanta.
Alcune copertine sono talmente iconiche che il loro “peso” storico si ripercuote in scelte successive. Prendete quella degli Stones fatta da Andy Warhol poco prima che morisse nel 1986. Dopo tre anni Herb Ritts per illustrare Like A Prayer di Madonna la riprende in versione femminile senza ombra di dubbio.
Tre firme dell’arte contemporanea hanno messo il loro stampo su tre dischi epocali. Se fossero dei quadri in vendita, questi lavori varrebbero come il Pil di una regione, a dir poco. Lady Gaga per il ritorno del 2013 ha chiamato il top seller Jeff Koons, Banksy ha fatto la copertina di Think Thank dei Blur (2003) mentre l’italo-americano Francesco Clemente ha disegnato per un singolo dei Rolling Stones del 1986.
Ci sono poi artisti visivi che dalla discografia hanno preso il lancio per fare altro. Nick Night, ancora studente, nel 1982 documentò il fenomeno inglese degli skinheads. Poi fu chiamato a ritrarre Spandau Ballet (1986) e Robbie Williams all’apice della carriera solista, a inizio anni Duemila. Ha continuato a fare il fotografo di moda e ha diretto anche video musicali (Bjork nel 2001 e Born This Way di Lady Gaga nel 2011).
Altri hanno lasciato la loro visione nell’immaginario collettivo proprio attraverso i dischi. Herb Ritts è l’enciclopedia della foto di moda, ma il suo lavoro più iconico è l’album più venduto di Madonna, True Blue del 1986. Richard Avedon è nei musei per i suoi ritratti di moda ed è anche ricordato per aver scattato una sorridente soul singer al suo esordio: era il 1987 e lei era Whitney Houston. Albert Watson, il fotografo di Harper’s Bazaar’s, ha trasformato Sade negli anni 90 con uno scatto che è sintesi di un’epoca, per Love Deluxe.
Guardate l’estro artistico come cambia atrraverso i tempi con Jean Baptiste Mondino. L’artista assoluto delle campagne pubblicitarie più glamour ha “spogliato” Prince nel 1988, ironizzato su Jean Paul Gaultier per il suo esordio discografico l’anno dopo (il pezzo è ricercatissimo ogggi) e si è concesso al rock con i Placebo negli anni 90.
Concludiamo con dei veri maestri dell’obiettivo che hanno definito per sempre le vite artistiche dei cantanti che hanno ritratto. Pochi ricordano che Oliviero Toscani scattò questo primo piano di Lou Reed nel 1975 per la copertina di un live. Peter Lindbergh svecchiò Tina Turner e ci riuscì.