Il selfie, come genere comunicativo e coniato in questi termini, esiste da poco più di 20 anni. Nato da un esperimento australiano di condivisione online del genere dell’autoscatto, il self-portrait dell’era digitale non è altro che la prosecuzione di un trend che nell’arte e anche nelle abitudini sociali c’è sempre stato in varie forme.
L’autoritrarsi può avere duplice valenza: la fotografia è realizzata in solitudine e si impone nella società massificata come segnale di malessere e allo stesso tempo è testimonianza di esserci, di vita e di affermazione dell’ego.
La storia dell’autoritratto in foto è trasversale a molte epoche lontane. Potrebbe essere agganciata all’esperimento del 1839 di Robert Cornelius che si auto-immortalò puntandosi una lampada in faccia. O alla commercializzazione del primo cellulare con fotocamera che risale al 1999 (era della giapponese Kyocera).
Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea, seguito di volumi editi nel 2012 e nel 2017, per le Edizioni Rubbettino, è il terzo capitolo di un approfondimento a cura di Giorgio Bonomi. Lo storico dell’arte passa in rassegna artisti provenienti dal panorama internazionale a partire dagli anni Settanta fino ai nostri giorni, dai maestri affermati fino ai giovani esordienti.
In questi scritti, il corpo viene definito “solitario” per due ragioni: da un lato, perché l’opera è realizzata in solitudine, e nella solitudine l’artista si auto-scatta avvalendosi, al massimo, dell’ausilio di un amico che preme il pulsante della macchina fotografica; dall’altro, perché si impone nella società massificata come testimonianza di malessere, ma anche come possibilità di liberazione e di salvezza.
Attraverso la ricerca della propria identità, con il travestimento, con la narrazione, la sperimentazione, la denuncia, gli artisti pongono problemi profondi di natura psicologica ed estetica, sociale e politica.
Mercoledì 15 marzo 2023 ore 18 alla Sala Fontana del Museo del Novecento a Milano ci sarà l’incontro con l’autore.