Nel settore dell’Influencer Marketing non è più valida la regola della relazione top-down come nel marketing tradizionale: la comunicazione ha assunto regole differenti in cui i messaggi promozionali si inseriscono in maniera nativa nella fluidità della narrazione personale di un influencer. Credibilità, integrazione e spontaneità sono imprescindibili per ottenere un engagement più alto e un modello molto naturale di comunicazione.
COME SONO PERCEPITI GLI INFLUENCER – La capacità dell’Influencer Marketing di generare relazioni Human to Human è riconosciuta. Esso, infatti, è in grado di colmare il gap di fiducia che si è creato con lo sviluppo del digitale. L’influencer è una figura familiare, entrata a far parte del quotidiano delle persone. È questa sensazione di vicinanza che porta ad accrescere un sentimento di fiducia verso l’influencer e – inconsapevolmente – verso i prodotti che esso presenta. Il consumatore si fida di ciò dicono le persone più di quanto si fidi di ciò che dicono i brand, e per questo credono nel racconto degli influencer. Ecco quindi che attraverso la voce di questi ultimi, una marca può veicolare i propri valori e risultare umanizzata. In sostanza, l’influencer diventa una voce del brand, un vero e proprio ponte che si estende verso le community, ma è anche l’attivatore di altre community basate su affinità di interessi o con business comuni.
Gli influencer non possono essere visti in maniera semplicistica focalizzandosi solo sulla loro “fama”, bisogna invece considerare molteplici variabili sia quantitative e che qualitative. Sono questi alcuni dei risultati dell’Osservatorio InSIdE (influencer, stories, identities and evolutions) curato da Pulse Advertising, una delle realtà più note nel settore degli influencer con sedi ad Amburgo, Londra, Milano e New York, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (gruppo di ricerca ReCON Lab – Research on Communication Organization and Narratives) dell’Università di Pavia.
Pulse Advertising, una delle realtà più note nel settore degli influencer con sedi ad Amburgo, Londra, Milano e New York, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (gruppo di ricerca ReCON Lab – Research on Communication Organization and Narratives) dell’Università di Pavia dà voce ai direttori marketing. Emerge uno scenario complesso e ancora parzialmente conosciuto e sviluppato, in cui le agenzie rappresentano il reale valore aggiunto, grazie alle competenze specifiche e alla capacità di compiere analisi qualitative e quantitative.
Dalla ricerca emerge che in Italia l’Influencer Marketing è un’attività poco sviluppata e con un ruolo ancora incerto. Mentre per alcune imprese è già una leva del marketing mix, altre lo concepiscono come un progetto ad hoc.
È vero che l’efficacia di questo strumento è chiara, ma la complessità di alcuni progetti – soprattutto in ambito B2B (tra aziende)- fa sì che esso sia ancora poco consolidato. È un’attività adottata con molteplici sfaccettature che variano a seconda dei diversi settori, che si tratti di comunicazione B2B o B2C (business ai consumatori).
Proprio perché gli influencer rappresentano la voce del brand, la fase di scouting risulta strategica. È d’obbligo che influencer e brand siano spiriti affini, che condividano gli stessi valori e tendano verso obiettivi comuni, pur mantenendo la propria individualità e lo stile narrativo.
Per determinare se un influencer è adatto a realizzare una campagna di comunicazione di un brand, però, le metriche non bastano, infatti per verificare l’effettivo allineamento all’asset della marca o al pubblico target, le attività digitali degli influencer vanno sottoposte a una minuziosa osservazione quali-quantitativa. Si valutano le tracce digitali, la presenza sulle diverse piattaforme, i contenuti e i temi pubblicati, i format e il tipo di linguaggio. Devono essere valutate anche la dimensione e la composizione della fanbase: si esegue un’analisi qualitativa delle interazioni e si misura il Tasso di Engagement medio dell’audience, per capirne la bontà, il Credibility Score e l’Earned Media Value.
Non solo: la scelta dei brand avviene tra influencer generalisti o specialisti, più verticalizzati su pochi temi o un unico canale, oppure tra professionisti e power-users, figure con un solido know-how, ben introdotti nel settore e molto credibili, che consentono al brand di raggiungere gli altri specialisti del settore. Inoltre, nella scelta dell’influencer, vanno considerati come rilevanti i budget, ma anche gli obiettivi dell’attività, il prodotto, l’argomento da comunicare e il pubblico che si vuole raggiungere.
QUANDO SI RICHIEDE L’AGENZIA – È in un contesto così complesso e frammentato che si inseriscono le agenzie di intermediazione, delle quali, risulta dall’analisi, generalmente le imprese si avvalgono soprattutto per lo sviluppo di grandi progetti o per progetti specifici e più verticali o, ancora, per attività in cui sono coinvolti più influencer, poiché sono richiesti team numerosi.
I brand, si evince dall’Osservatorio, ammettono la loro inesperienza. Un fattore che genera il mancato sviluppo di un piano di marketing ed editoriale strutturato e che porta anche alla scelta sbagliata degli influencer. Non solo: molte aziende focalizzano ancora la comunicazione sul prodotto, anziché sui contenuti e, aspetto non da poco, spesso i tempi dilatati per la gestione della burocrazia – soprattutto per le imprese a capitale pubblico – si scontrano con la velocità del mondo digitale.
ARRIVA IL SUCCESSO – Ciò che i brand si aspettano dalle agenzie e che riconoscono a esse è la capacità di ascoltare le loro reali necessità, di sviluppare brief efficaci, di misurare le performance ma anche la disponibilità ad aggiornare puntualmente il management sugli sviluppi del rapporto con l’influencer.
Per alcune imprese, indicatore qualitativo del successo di una campagna di Influencer Marketing è anche il rapporto che si è instaurato con l’Influencer. Il comportamento del talent nei confronti del personale interno all’azienda è un indicatore del coinvolgimento dello stesso con i temi di cui è portavoce il brand che, di conseguenza, si riversa sulla spontaneità e autenticità dei contenuti.

Afferma Paola Nannelli, Executive Director per l’Italia di Pulse Advertising: “L’Osservatorio InSIdE ci permette di ottenere un quadro preciso del mondo dell’Influencer Marketing e di comprendere le necessità ma anche l’approccio delle aziende rispetto a queste attività. Ne risulta che l’Influencer Marketing è gestito con modalità e budget frammentati: ci si affida alle agenzie per i progetti più importanti e strutturati, si gestiscono internamente le iniziative minori e si affrontano con modalità ancora differenti le candidature spontanee dei micro-influencer. Oltre a ciò, talvolta in azienda, nella scelta di un talent viene meno il criterio razionale, a favore di una conoscenza o una simpatia personale. Molti brand sono convinti che la gestione dell’Influencer Marketing possa avvenire con relazioni one-to-one, e con le medesime dinamiche con cui si gestiscono PR e testimonial, ma questo impedisce la scalabilità e la misurabilità dell’attività. Infatti, per essere performante l’Influencer Marketing deve essere inserito in modo ragionato e consapevole all’interno del piano di marketing, deve essere concepito non solo come un’azione tattica, bensì come un’integrazione del piano editoriale social. Infatti, per ottenere dei risultati tangibili è necessario che il contenuto nativo diventi l’asset per la targettizzazione del paid social adv. Ed è proprio questo il compito delle agenzie di Influencer Marketing, nonché l’obiettivo di Pulse Advertising: mettere a disposizione le competenze specifiche per permettere ai brand di compiere scelte mirate e realmente efficaci, sfruttare appieno le potenzialità di uno strumento che sempre di più sta diventando elemento imprescindibile del marketing mix.”