Uno degli accessori maschili che più di tutti, anche della cravatta, rappresenta un simbolo è sicuramente la pochette, o fazzoletto da taschino.
L’eleganza e la classe della pochette è raccontata da una vasta cinematografia a partire dal 1931 con il film “Public enemy” di William Wellman nel quale è minuziosamente descritto, attraverso la sue scene, lo stile del cattivo che prepotentemente diventa protagonista, James Cagney e Edward Woods elegantissimi nei loro doppiopetto dal cui taschino spunta un fazzoletto candido a sbuffo, capace di rubare la scena a qualsiasi abito; e ancora, lo sciccoso George Raft, nel ruolo di Guino Rinaldo in “Scarface” del 1932 di Hawks, anch’egli quasi inghiottito da un favoloso doppiopetto gessato con baveri più larghi per l’epoca, camicia con colletto a punta, nodo piccolo della cravatta e pochette in seta bianca a due punte.
Nel 1931 Le Roy mette in scena Edward G. Robinson nel ruolo di Rico in “Piccolo Cesare”, gangster dall’abito impeccabile, arrogante e che sottolinea come sia raffinato il suo guardaroba con pochette a sbuffo. William Powell nel 1934 per il suo “Uomo ombra”, di Van Dyke, sfoggia anch’egli un fazzoletto a sbuffo, mentre Cary Grant, ricercato per i suoi modi urbani, in “Scandalo a Filadelfia” del 1940 di Cukor, e Gregory Peck, dallo stile severo, in “Passione selvaggia” del 1947 di Korda, optano per uno sbuffo a due punte.
Bisognerà aspettare il 1974 e più precisamente “Il grande Gatsby” di Jack Clayton, per vedere un fazzoletto a quattro punte uscire dal taschino dell’abito impeccabile di Robert Redford. Gli anni ’60 invece vedono sul grande schermo un fazzoletto piegato in modo rettangolare e che fuoriesce dal taschino di circa un centimetro; è il regista Terence Young a portarlo alla ribalta col film “007: Licenza di uccidere” ed è Sean Connery che lo indossa per il suo personaggio più famoso: James Bond. Grazie al suo stile, la pochette di Bond non è solo iconografica ma diventa anche iconologica, assume cioè tutti i caratteri di una vera e propria rappresentazione, un simbolo, un significato. Soprattutto in un film come “Licenza di uccidere” il significato delle pochette è duplice: primo, è semplicemente un accessorio elegante e nonostante James Bond, per un’occasione formale, a cena col Dr. No, stia indossando un abito di taglio orientale con colletto rialzato, dal taschino spunta un fazzoletto perfettamente piegato; secondo, la precisione con cui è piegato suggerisce che non tutto è perduto e che alla fine la preparazione e la cultura di Bond prevarranno. Per tutti i film a seguire con Connery, la pochette rettangolare alta un centimetro, non hai mai lasciato gli abiti di Bond.
E oggi? Oggi un abito o una giacca risulterebbero, come dire, poco completi senza il fazzoletto da taschino, quel taschino risulterebbe “trascurato”.
La pochette può essere di lino, seta, cachemire o lana, però i tessuti più diffusi sono sicuramente il lino e la seta; pur non essendo particolarmente affine, per un aspetto formale, il cotone potrebbe risultare una valida alternativa. Se in lino, la pochette in genere va indossata bianca, si abbina bene con qualsiasi tipo d’abito. Se la camicia è bianca è preferibile una pochette bianca mentre se la camicia è azzurra è preferibile una pochette azzurra, anche se risulta poco fantasiosa, con le camicie a righe è sempre meglio una pochette bianca. Se invece la pochette è colorata allora è d’obbligo riprendere i colori della cravatta. Il fazzoletto da taschino è un po’ come la cravatta, e come per la cravatta esistono circa 85 modi di annodarla, così per la pochette esistono diversi modi di piegarla.
Ne vediamo tre, i più semplici e i più usati. Formale: la procedura è semplicissima e consiste nel piegare il fazzoletto fino a formare un rettangolo allungato e infilarlo così nel taschino lasciandolo fuori per circa un centimetro, i puristi rialzano addirittura l’angolo esterno per farlo puntare verso la spalla sinistra rendendolo così leggermente obliquo. Questo tipo di piega è il più adatto per i fazzoletti in lino. A sbuffo (2 o 4 punte): prendere il fazzoletto dal centro tirandolo verso di sé, con la parte centrale nel pugno della mano, sistemare gli angoli in modo tale che, una volta infilata la parte centrale nel taschino, si vedano fuori, due o quattro punte. A punta: prendere il fazzoletto per i quattro angoli e avvicinarli in modo tale che il centro resti leggermente gonfio, infilare poi nel taschino dalla parte dei quattro angoli, l’effetto sarà quello di una specie di palloncino sgonfio. Ripensandoci, la scena di un film italiano nel quale, Renato Pozzetto indossa un elegantissimo blazer con pochette bianca è indimenticabile e sintomatica. Colto da un improvviso starnuto non ha un fazzoletto sottomano e tirando la testa all’indietro va alla ricerca di qualcosa con cui pulirsi il naso. Un amico gli suggerisce di usare il fazzoletto che ha nel taschino e Pozzetto risponde seccato: “Cosa? Ma questo qui è un simbolo”.