Un palazzo storico in provincia di Catania, di proprietà del barone e dei cavalieri Gravina Pace, ci accoglie nella sua magnificenza ferma nel tempo. Siamo ospiti a Palazzo Gravina Pace, a Caltagirone. Il padrone di casa, Giacomo Gravina Pace, ci racconta la storia e gli aneddoti della sua meravigliosa residenza e del suo nobile casato.
Buongiorno Giacomo. Grazie al mio programma televisivo “Chi ha dormito in questo letto?” ho avuto il piacere di visitare il meraviglioso palazzo Gravina Pace a Caltagirone. Da quanto tempo appartiene alla tua famiglia?
Il Palazzo si sviluppa attorno ad una torre medievale che è riapparsa nei recenti restauri. La parte principale dell’edifico, caratterizzata dalla lunga balconata dello scultore Gagini, risale alla fine del Cinquecento, o ai primi anni del Seicento. Da quest’epoca il palazzo appartiene ai principi Gravina, tranne che per una breve parentesi nella seconda metà del XIX secolo. Dopodiché è ritornato al casato dei Gravina da cui discende nostra madre, Donna Giovanna Gravina di Palagoni che ha poi sposato il barone Salvatore Pace, nostro padre.
Che progetti avete per il futuro di questa meravigliosa dimora? Avete mai pensato di destinate il Palazzo, o anche solo una parte, a struttura ricettiva?
Più che a una struttura ricettiva, nel senso tradizionale del termine, abbiamo pensato a una ospitalità nel segno della condivisione della cultura delle casate aristocratiche siciliane. D’altronde la casa ne è davvero crocevia, grazie alle memorie di casa Gravina, quelle di casa Pace con i cimeli del famoso barone archeologo Biagio Pace (noto per i suoi scavi in Grecia, Turchia, Libia, Sicilia), di casa Majorana e Perrotta. L’idea sarebbe quella di poter accogliere gruppi di “viaggiatori” curiosi, attenti all’atmosfera della dimora e agli avvenimenti che racconta. Persone che sappiano emozionarsi davanti a oggetti carichi di storia e alla bellezza che ancora si respira nella decorazione delle antiche sale; che vogliano apprezzare gli antichi libri ma anche le tradizionali ricette di famiglia, vere delizie per il palato oltre che occasione di colta convivialità.
Nel Palazzo abitano anche i tuoi due fratelli?
Sì, sia io che i miei fratelli Biagio e Gianfranco continuiamo a vivere la casa. Per noi è uno stimolo continuo, nella quotidianità di tradizioni, gesti e riti che si ripetono, uguali, ma sempre diversi, nel lento scorrere delle generazioni.
Cosa non deve mai mancare nella vostra casa?
Direi che le costanti principali sono i libri e i dolci. I primi mi hanno accompagnato fin dagli anni della mia formazione: le emozioni profonde trasmesse da un romanzo di Balzac, o la struggente bellezza dei versi di Kavafis, sono un elemento essenziale della mia vita. Peraltro, la biblioteca di famiglia continua ancora adesso ad offrirmi occasioni di curiosità e scoperte; mi permette anche di svolgere a casa una parte rilevante della mia attività professionale di ricerca.
E i dolci? Sono curiosissimo!
La nostra è una stirpe di golosi. Considera che tra i documenti di famiglia, conserviamo ancora gelosamente una lista di dessert di una pasticceria palermitana dei primi dell’Ottocento, oltre ad antichi quaderni di ricette. È stato mio padre ad introdurmi al culto dei dolci siciliani. Ogni città o paese della Sicilia che abbiamo visitato, le case e gli amici che ci hanno ospitati, tutto ai nostri occhi raccontava la propria storia attraverso un dolce. Come i dolci dei monasteri di clausura, passati attraverso la ‘ruota’, che ci sussurravano le vicende di giovani dame chiuse in convento; o il biancomangiare e i geli che ci hanno deliziato in ombrosi giardini, narrandoci di eleganti signore che tramandavano le ricette di famiglia; oppure ancora le sontuose cassate servite in delicati piatti di porcellana di Sèvres o Capodimonte, che erano per papà la ghiotta occasione di dotte disquisizioni sulla stratificazione della cultura siciliana, identificabile con quella tra pan di Spagna e frutta candita. Il talento di mamma, poi, coronava qualsiasi ricerca, traducendola in delicati capolavori presentati su antiche guantiere neoclassiche, delizia per gli occhi e il palato.
Vi piace ricevere gli amici a casa, o preferite incontrali al di fuori?
Una parte importante della casa è stata concepita proprio per ricevimenti e feste. Sugli specchi del salone si riflettono ancora civettuole dame e cavalieri con parrucca e spadino! Questa vocazione non si può certo dimenticare: perciò, quando possibile, amiamo invitare a casa gli amici. La casa è da sempre un punto di attrazione per intellettuali, storici, letterati, archeologi: spesso riceviamo ospiti con cui condividere bellezza e cultura. Tra questi amo ricordare Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo: la triade di grandi intellettuali siciliani. Consolo ci ha perfino ‘raccontati’, nel lavoro di sistemazione della Biblioteca, ne L’olivo e l’olivastro.
Ci sono delle zone della casa che sentite maggiormente vostre, che sono la vostra “comfort zone”?
Sì, certo. Studiando i documenti dell’archivio di casa abbiamo ritrovato l’identità di alcuni ‘quarti’ storici: veri e propri appartamenti autonomi accorpati nei secoli alla residenza, che noi abbiamo trasformato in case comode, ma che mantengono sempre una forte identità.
Spesso le case belle suscitano invidia e quindi giudizi poco carini. Avete mai saputo di una critica fatta alla vostra casa?
Forse i nostri ospiti sono stati troppo educati, non ricordo critiche. Certo, qualcuno innamorato della modernità a tutti i costi non avrà apprezzato questo scrigno di memoria. Una dimora come questa, con secoli di storia, sopravvissuta al devastante terremoto che sconvolse il Val di Noto del 1693, sicuramente non può appagare chi non ama i vecchi racconti e non si apre per lasciarsi catturare dal fascino di un luogo. Comunque le critiche passano mentre la casa vive ancora, con il suo lungo balcone proteso sulla piazza, testimone di un mondo in continuo mutamento.
Quindi, una dimora storica come la vostra che rapporto ha con il design contemporaneo?
La casa non è certo statica, continua a vivere anche in questa epoca di transizione, segnata da continui mutamenti. Le sale di rappresentanza sono rimaste intatte, ma oggetti della contemporaneità fanno capolino, discretamente, negli appartamenti vissuti più intensamente, o negli ambienti della biblioteca, anche per motivi di funzionalità: alcuni oggetti sono davvero belli, e come tali senza tempo. Sono molto legato, ad esempio, alla mia lampada da tavolo Tizio di Artemide, che mi fu donata da alcuni amici per la mia laurea, e che da allora accompagna i miei pomeriggi di studio sugli antichi volumi di diritto medievale.