“Adriatico” è un interessante approfondimento culturale e linguistico-musicale di minoranze etniche insediate in Italia dal lontano 1500 e sulle quali anche Pierpaolo Pasolini fece puntuali ricerche. Un viaggio affascinante tra il Sud Italia e i Balcani alla scoperta delle comunità slave e albanesi insediatesi nel territorio italiano, già dal XV secolo, a seguito dell’invasione ottomana della Penisola Balcanica. Lorenzo Lombardi & N. Santi Amantini hanno presentato il film di Cristiana Lucia Grilli in un video dalla visione gratuita che propone in chiusura un intenso momento descrittivo-biografico di Goran Bregović. “…nelle canzoni del nemico scorgerai anche note delle canzoni del tuo paese…e viceversa”.
Mirëdita e mirëmbrëma ovvero “buongiorno” e “buonasera” in lingua Arbëreshë. Ma cosa è in realtà l’Arbëreshë? Quanto ne sappiamo ed innanzitutto da cosa deriva? Bisogna tornare a vari secoli addietro quando l’Albania si chiamava Arberia e, per identificare una data verosimile e dei motivi dei primi insediamenti in Italia, ne stabiliremo la “genesi” intorno all’anno 1458, complice la lungimiranza del gran condottiero “Skandenberg”, strenuo difensore dell’indipendenza albanese. Da verificate trascrizioni storiche, si tramanda egli fosse un uomo possente, uno stratega fuori dall’usuale che non a caso divenne temuto riferimento e per molti un utile alleato.
Fu detto: “E’ uomo fisicamente imponente e di buon italiano”, ma in realtà parlava anche il turco, il greco, l’arabo, l’albanese ed il latino ed il suo nome vero era Giorgio Castriota. Dapprima incaricato dal sultano Murad II, divenne principe in Albania e fu appellato Skanderberg o Skënderbeu (in lingua albanese) nome derivato dalla traduzione di Alessandro (Magno). Egli fu anche definito dal papa Callisto III “Athleta Christi” e propugnatore del nome cristiano. Un mosaico che raffigura “Skanderbeg” – Evidenti i richiami alla “battaglia di Alessandro” o “Isso” Il ruolo di questa figura fu la chiave per l’ingresso in Italia del popolo Albanese.
In quegli anni troviamo un nome più noto alla storia italiana: Ferrante d’Aragona, anche conosciuto come Ferdinando d’Aragona (figlio illeggittimo di Alfonso). Mentre i baroni di Napoli manifestavano avversamente il Ferrante aveva già donato la contea di Sant’Angelo in Puglia a Giorgio Castriota, permettendone in essa liberi scambi agli albanesi. Questo favorì, alla morte di Giorgio ed il successivo dominio da parte degli Ottomani, l’insediamento di uomini assoldati al servizio del regno di Napoli, del regno di Sicilia e la Repubblica di Venezia; fu poi il turno delle loro famiglie con la “diaspora” albanese e quindi la massiccia ondata migratoria. “…Sincrona fu anche l’emigrazione dè Dalmati, fuggendo la rabbia dè Turchi…” (Giovenale Vegezzi Ruscalla) (L’elmo con la testa di capra ed un busto di Giorgio Castriota – detto Skanderbeg).
Da allora l’espansione e gli insediamenti sono arrivati anche in Calabria, Sicilia, Basilicata, Molise ed Abruzzo e non solo. Nelle comunità ancora oggi vengono mantenute le tradizioni, la lingua e le usanze. Non è raro trovare la doppia lingua anche per strade e momumenti, inoltre, molte opere come le chiese, risultano di chiara struttura bizantina; per gli albanesi d’Italia la religione è cristiana, il cui rito, bizantino di lingua greca, spesso li ha fatti confondere con i greci. In tutte queste realtà, riconosciute da trattati recenti, vengono mantenute le originarie identità culturali, benchè abbiano contribuito alla sviluppo ed alla rinascita dell’Italia stessa anche durante il Risorgimento Italiano. Il codice etico Kanuni (o canone di Lekë Dukagjini) non ha origine certa, ma contiene le basi morali e giuridiche ed è parte integrante del patrimonio culturale albanese.
Dal nome del codice pare derivi il nome alla città Portocannone; il paese in provincia di Campobasso esisteva già in periodo medioevale ma, a seguito del violento terremoto del 1456, quasi tutte le abitazioni furono rase al suolo e furono totalmente ricostruita da esuli Arbëreshë dopo circa dieci anni a seguito degli insediamenti. Le singolarità degli “Isolotti Linguistici” – le lingue, sono una contaminazione da proteggere. Il docufilm Adriatico tratta con fedele vicinanza storica la cultura identitaria che ancor oggi sopravvive e che solo di recente, dopo vari trattati, è stata riconosciuta con legge n. 482 del 15 dicembre 1999 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche) con la quale si tutelano le minoranze etniche e linguistiche presenti sul territorio italiano, fra cui quella albanese.
Cristiana, il suo Docufilm “Adriatico, il mare che unisce“ ha raccolto un grande interesse e visualizzazioni. In un momento in cui l’omologazione culturale sembra essere sempre più pervasiva il suo lavoro, con la partecipazione di Francesco Toscani alla fotografia, si muove nella direzione opposta e cioè quella di far riemergere, in alcuni momenti anche attraverso una semplice inquadratura, una originale ricchezza che permette di reinterpretare il mondo attraverso prospettive inedite che illuminano zone di passaggio e di vita per lo più inesplorate. Ci può raccontare brevemente di questo suo viaggio di arte e di genti tra le due sponde di questo mare?
Cristiana Lucia Grilli “Adriatico” è un viaggio sia intimo e metaforico che fisico, nato da un sentimento profondo in relazione alla mia storia familiare: da parte materna appartengo alla comunità arbëreshë molisana mentre da parte paterna ho ereditato le radici greche.
I Balcani hanno sempre fatto parte della mia esistenza, ne ho sempre subito il fascino e il magnetismo ancor prima di averne coscienza.
Esattamente come prima di dipingere un quadro si è mossi da un impeto di emozioni che si traducono in immagini così, nell’aprile 2018, ho iniziato a scrivere la mia idea del film, tra sequenze oniriche e narrative che si susseguivano nella mia mente dettate da archetipi e ricordi ancestrali. L’intento era di realizzare una fotografia indelebile di questi popoli, attraverso l’excursus storico fino ai nostri giorni, riportando con assoluta fedeltà la loro vicenda. Il viaggio sull’altra sponda, inoltre, mi ha portata a sentirmi parte di una famiglia allargata, come quelle del Sud Italia, dove zii e cugini non si contano. L’accoglienza ricevuta, il calore e la curiosità con cui le persone si sono relazionate rispetto alle antiche radici che ci legano, mi hanno fatta sentire come la cugina o la nipote che non vedevano da tanto tempo, ma di cui attendevano notizie da sempre. È stato come ritrovarsi.
Nel vostro viaggio alla riscoperta di un Adriatico sconosciuto fatto di storie, personaggi singolari, leggende, miti e quotidianità vi siete imbattuti in incontri, ricerche ma anche inaspettate svolte che danno al docufilm la forma di un lavoro che, se da un lato afferra l’importante testimone di una cospicua messe di lavori esistenti, dall’altro consegna una visione personale e forte a partire dal mezzo utilizzato per narrare, il film documentario e la freschezza dell’attualità come porta di accesso.
Cristiana Lucia Grilli Scegliere di narrare una storia mediante il linguaggio filmico è per me il modo più efficace di comunicare un messaggio, soprattutto se complesso. Quando le immagini e la musica si fondono si ha un’esperienza emozionale fortissima e si generano ricordi permanenti. Con questo lavoro ho voluto togliere un po’ di polvere da documenti, estratti, vecchie cronache, ancora abbarbicati a un linguaggio che è inteso da pochi “addetti ai lavori” e, riordinati tutti i tasselli, ho cercato di mostrare visivamente il prezioso mosaico di una subcultura che per secoli ha permeato le nostre vite e che ancora oggi ci fa dono del suo essere, aldilà degli sforzi fatti finora.
Oggi, inoltre, urge comprendere quanto la diversità culturale sia indispensabile al fine di contrastare il fenomeno, sempre più incalzante e schiacciante, dell’omologazione globale che non lascia spazio a peculiarità caratterizzanti ritenute, bensì ,“pericolose” e negative.
Con “Adriatico” intendo rimarcare l’importanza della contaminazione culturale come arricchimento e valore aggiunto, non soltanto per il territorio che accoglie, ma anche per la crescita individuale di ognuno. La Storia in fondo è destinata a ripetersi.
Adriatico è anche la costruzione di un paesaggio sonoro ed emozionale che attravesa l’intero lavoro: una scelta che rivela gusto ed originalità e anche la consapevolezza di quanto la lingua e la musica siano fondamentali per cogliere l’insieme di un mondo, l’intreccio sottile delle culture, i movimenti delle genti nei secoli ma anche la sorpresa di nuove generazioni decise a rimodulare e reinterpretare repertori poetici e musicali mai dimenticati.
Cristiana Lucia Grilli Come dice Kubrick: un film è, o dovrebbe essere, più simile alla musica che non alla fiction”.
Se pensiamo anche ai film di Kusturica, lì, la musica la fa da padrone. Ciò che più amo dei suoi film, infatti, oltre agli aspetti grotteschi dei suoi personaggi, è la scelta di dare alla musica un posto speciale. Essa circoscrive ed esalta le situazioni più disparate. Anche per quanto riguarda le mie scelte e il mio gusto personale, essendo una “music addicted”, questa deve avere la sua dimensione. Io credo fermamente nel sodalizio indissolubile di immagini e musica: l’uno si nutre dell’altro in un moto circolare continuo. Solo un vero estimatore di quest’arte così sublime ne può cogliere l’importanza imprescindibile. In Adriatico poi la musica è rigorosamente autoctona: emergono gli artisti locali di ambedue le minoranze che sono riusciti a portare lontano le nostre sonorità, la nostra tradizione e la nostra cultura, facendo appassionare chi ne viene a contatto.
La musica ed i canti “Arbëreshë” sono caratterizzati da un sistema musicale modale che richiama la teoria bizantina dell’oktoichos,forma tipica del “canto piano” e del canto gregoriano ed al riguardo c’è molto interesse; persino Pier Paolo Pasolini ebbe modo di approfondire sue ricerche musicali nel suo Canzoniere Italiano.
Concludiamo segnalando i vari contributi inseriti nel progetto:
Francesco Storti – Storico e Ricercatore Università Federico II Napoli;
Fernanda Pugliese – direttore di “Kamastra” magazine;
Dritan Kraja – Manager;
Genti Bedalli – Manager;
Assunta Occhionero – Insegnante comunità Arbëreshë di Portocannone;
Maria Luisa Pignoli – Ricercatrice Università Cote d’Azure;
Angelo Giorgetta – Parroco comunità croata di Montemitro, San Felice del Molise;
Giovanni Piccoli – Insegnante comunità croata di Acquaviva Collecroce;
Walter Breu – Linguista Slavo ed albanologo Università di Costanza;
Lorenzo Blascetta – Musicista comunità di Montemitro;
Francesca Sammartino – Studentessa di Montemitro all’ Università di Zagabria;
Giovanni Agresti – Linguaggi dell’Europa e del Mar Mediterraneo;
Goran Bregović – Musicista e Compositore Bosniaco.
Una produzione Creative Motion
Regia, Soggetto e Sceneggiatura Cristiana Lucia Grilli
Direttore della fotografia Francesco Toscani
Assistente alla regia Francesco Toscani
Montaggio Francesco Toscani, Cristiana Lucia Grilli
Con la partecipazione straordinaria di Goran Bregović
Con il patrocinio di Turismo è Cultura
Regione Molise
Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli
Cinema e Diritti – Salerno
I Comuni Arbëreshë e Croati del Molise
Colonna sonora: Max Fuschetto; Antonella Pelilli; Nuova Compagnia di Canto Popolare; Silvana Licursi; Alberi Sonori; Kroatarantata; Elektriteri.
Per chi volesse ulteriormente approfondire, si consiglia la lettura del seguente testo:
LE COLONIE SERBOCROATE NELL ITALIA MERIDIONALE di Milan Reöetar
(tradotto in italiano da Walter Breu e Monica Gardenghi – 1997)
Testo a cura di Maurizio De Costanzo