Ci sono delle persone, che già nello stringere la mano, fanno avvertire una vibrazione positiva. Così, mi è successo conoscendo Giovanni Scialpi, al secolo Scialpi, cantautore che fece impazzire arene affollatissime di fan in delirio, al suono di un popular-rock che a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta fece davvero scalpore. Tutti ricordiamo l’esordio del 1983 con Rocking Rolling, e poi Cigarettes and Coffee, No East No West, la romantica Pregherei, cantata con Scarlett Von Wollenmann che vinse il Festivalbar nel 1988. Scialpi continua la sua carriera musicale (Pettirosso è del 2016) e oggi mantiene intatta la sua bellezza unita all’incanto di due occhi azzurri di una limpidezza sorprendente.

Ma è il suo essere diretto e spontaneo che disarma: ti guarda dritto e non ha infingimenti e si racconta con spontanea naturalezza, spiegandomi subito che la diversa grafia del suo nome in Shalpy è stata una necessità fonetica per il mercato anglo-americano.
Chi è Giovanni Scialpi?
Intanto è un bimbo che ha conservato intatta la voglia di fare, di stupirsi, di emozionarsi. Dei bambini amo l’energia: sono una persona molto attiva ed odio l’immobilismo, forse per il mio essere curioso, sempre alla ricerca del profondo. In questo il mestiere di artista aiuta molto, perchè l’introspezione risulta l’unico viaggio possibile per scoprire l’arte ed il suo messaggio.
Hai partecipato a diverse competizioni canore. Che ricordi hai?
Ho fatto tre Festival di Sanremo: nel 1986 con ‘No East, no West’, nel 1987 con ‘Bella età’ e nel 1992 con ‘E’ una nanna’. Non ho vinto ma in compenso la vittoria è arrivata in ben due Festivalbar; nel 1983 con ‘Rocking rolling’ e nel 1984 con ‘Cigarettes and coffee’. Questa manifestazione era meno istituzionale, meno ingessata e più adatta quindi alle mie corde. Il successo che respiravo salendo sul palcoscenico ad esibirmi, era tangibile: in ogni piazza si sollevava, come un caldo abbraccio, il delirio del pubblico che stava ad aspettare per ore sotto il sole il mio arrivo, per farsi autografare la copertina del disco, o un piccolo pezzo di carta. Esisteva una sincerità e una passione oggi introvabili.
Un successo planetario con Rocking Rolling nel 1983: come si gestisce a soli 21 anni?
Io l’ho vissuto male, catapultato nello star system, dentro gli obblighi contrattuali e una sfrenata mondanità. In fondo, rifuggivo da tutto questo: era la mia musica, la mia voglia di scrivere e comunicare che a me importava, ma il successo è anche confrontarsi con delle condizioni assai mutate. ‘Rocking rolling’ per me ha costituito una croce e delizia. Delizia per il successo sconfinato che mi ha regalato, croce perché un artista non è mai pago, ed io volevo oltrepassare la mia stessa gloria e cercare altro, in nuove canzoni e melodie.
Qual e’ la canzone del cuore?
‘Cigarettes and coffee’: fu pubblicata nel 1984, ma l’avevo scritta ad appena tredici anni, mentre cominciavo a prendere confidenza con gli arpeggi della chitarra. Qualunque adolescente potrà sempre ritrovarsi in quella struggente condizione, in quell’impatto emotivo.

Il tuo percorso discografico è caratterizzato dal non esserti mai venduto. Me lo spieghi?
Ho detto tanti no, e molte porte, a furia del tuo rifiutare, finiscono per chiudersi. Rimpiango i troppi no detti: forse avrei dovuto mediare, magari prima dire un sì, e poi ritrattarlo in un no. In una parola, avrei dovuto essere più diplomatico, però non è nella mia natura scendere a patti con me, figuriamoci nelle relazioni esterne! Ma la gente che ancora m’incontra per strada e mi ferma, ama la sincerità e capisce e condanna subito l’artista che prende in giro, perché non si sente rispettata. Io sono istintivo e libero ieri come oggi, e ne vado fiero.
Due anni fa la partecipazione a Pechino Express e al rientro il tuo cuore va in pezzi.
Sai, firmi un contratto di sana e robusta costituzione, e poi scopri che nessuno garantisce per la tua incolumità. Uno sforzo è sempre uno sforzo. E quella meravigliosa trasmissione ne prevede tanti. Tornato a Roma, ho dovuto essere operato al cuore e impiantare un pacemaker. E non è facile accettare una condizione che ti muta per sempre. Ma anche dal negativo nasce il bene: partecipavo ne ‘I Compagni’ con il mio compagno Roberto Blasi, ero nell’edizione di Paola Barale, con me sempre molto carina. A volte i viaggi fanno rompere lunghi rapporti, mentre con me e Roberto è successo il contrario e ci siamo ulteriormente avvicinati, tanto che dopo cinque anni di convivenza, abbiamo deciso di volare a New York per sposarci.
Il matrimonio in america e le battaglie in italia per i diritti civili dei gay, ti hanno causato ostracismo lavorativo.
Tengo a dire che io e Roberto ci siamo sposati senza frastuoni eclatanti da star. Volevamo che arrivasse il messaggio che la nostra, era una coppia normale, come tante, per cui il matrimonio era un suggellare l’amore. Eppure non siamo ancora stati sdoganati. Il mio mestiere è fare il cantante, ed io voglio andare in televisione a cantare, anche se ho volentieri prestato la mia notorietà per una battaglia civile che mi apparteneva in prima persona. Molti vorrebbero normalizzarmi, invece io, com’è nell’ordine delle cose, ho camminato, sono andato avanti, ho maturato nuove posizioni di vita e d’arte, ed a cinquant’anni passati, rivendico la mia emancipazione. Proprio non riesco a farmi etichettare in una posa immobile.

A settembre 2015 è uscito per Piemme un tuo romanzo.
Il mio romanzo s’intitola ‘E’ così semplice – Il cuore non ha genere.’ L’ho scritto di getto ed ha costituito un’esperienza bellissima, perché per la prima volta ho affrontato una scrittura a lungo respiro, io che ero abituato alle istantanee dei testi delle canzoni. Inoltre mi sono denudato facendo un bilancio della mia vita e scavando nei ricordi d’infanzia. Mi spiace averlo presentato poco, anche se non sono mancate le piazze di Milano e Roma, ma oggi la realtà editoriale non aiuta le grandi promozioni.
Hai progetti per il futuro?
Non ce ne sono: riemergo da un programma televisivo boicottato ed ora sono un poco perso. Tuttavia non ti ritrovi se non ti perdi. E non credere che ritenga negativa questa mia condizione. Anzi. Devo stare in riflessione e raccogliere le fila perché mi accorgo che la mia anima non è a fuoco. Lo smarrimento è la condizione più magica per l’artista, aggiungo pure molto frequente. Nello smarrimento si crea, e sono certo che scaturiranno nuove note e parole. Io, sono un resiliente nell’animo, dalle difficoltà trovo sempre una via d’uscita.
L’intervista con la scrittora è terminata: grazie Scialpi, è stato bello perdersi in questo così piacevole ritrovarsi.
Per info su Scialpi qui