25 Maggio 2022

Sigle tv, 5mila canzoni in un libro e (forse) anche un programma tv

Dalle Kessler a Beppe Vessicchio, passando da Sandra e Raimondo, programmi per ragazzi, gli show del sabato sera. Un filone che ha influenzato l'intrattenimento italiano, tutto analizzato nel libro di Claudio Federico.

25 Maggio 2022

Sigle tv, 5mila canzoni in un libro e (forse) anche un programma tv

Dalle Kessler a Beppe Vessicchio, passando da Sandra e Raimondo, programmi per ragazzi, gli show del sabato sera. Un filone che ha influenzato l'intrattenimento italiano, tutto analizzato nel libro di Claudio Federico.

25 Maggio 2022

Sigle tv, 5mila canzoni in un libro e (forse) anche un programma tv

Dalle Kessler a Beppe Vessicchio, passando da Sandra e Raimondo, programmi per ragazzi, gli show del sabato sera. Un filone che ha influenzato l'intrattenimento italiano, tutto analizzato nel libro di Claudio Federico.

C’è stato un tempo in cui la televisione italiana entrava in classifica dei dischi e stravinceva. Accanto agli eroi della musica pop anni Settanta e Ottanta, da noi, complice il successo straordinario del formato a 45 giri, le canzoni viste in tv vendevano milioni di copie nei negozi di dischi. Un’altra epoca, un’altra Italia che l’intrepido appassionato e storico Claudio Federico, napoletano di 52 anni, ha voluto raccogliere in un pregevole libro “Attenti alle sigle!“, uscito in sordina durante il Covid per Edizioni Efesto nella collana De ortibus et occasibus.

“La notte vola” di Lorella Cuccarini è considerata una delle sigle più longeve della cultura popolare italiana. Originariamente usata nel programma Fininvest (attualmente Mediaset) “Odiens” (come riporta il logo in copertina), è diventata negli anni un evergreen della musica italiana. Non si contano i suoi utilizzi: dai titoli delle serate dance revival ai cori allo stadio, questo brano che nel 1989 raggiunse solo la settima posizione in hit parade è ormai uno standard. All’estero fu pubblicato col titolo “Magic”. La stessa Cuccarini lo riprese in un programma omonimo su Canale 5 nel 2001 quando fu eletto il divo anni 80 più popolare in un contest televisivo (vinto da Mino Reitano e Rettore).

Esempi di blockbaster del genere sono sicuramente “Carletto“, il singolo del presentatore Corrado e del piccolo Simone Jurgens, che fece felici tante maestre d’asilo. Uscito a gennaio 1983, quando il sipario era già calato sulla trasmissione per cui era nato (“Fantastico 3”, vista da 28 milioni di persone ogni sabato), risultò il disco a 45 giri più venduto in Italia in quell’anno. Scorrendo la foto di apertura di servizio c’è poi la canzone identificativa del successo italiano della soubrette italo-americana Heather Parisi, “Cicale“. Un testo volutamente non-sense, scritto anche da un giovane Antonio Ricci, prendeva spunto dal desueto utilizzo del verbo “ci cala”, che vuol dire “ci importa”. “La notte è piccola” è invece un singolo delle Gemelle Kessler lanciato in Italia (ma anche all’estero, visto che le due ballerine erano tedesche) nel 1965. In breve, da sigla di “Studio Uno” divenne un successo straordinario fino a fare il passaggio ad autentico modo di dire per gli italiani.

Claudio, come ti sei appassionato al filone delle sigle musicali tv italiane?

Vivendo nel quartiere di Fuorigrotta vicino la Rai di Napoli, dove si registrano e si sono tenuti molti programmi mitici del passato, la mia passione è stata alimentata. Molti pensano che il successo delle sigle riguardi solo il periodo storico delle vendite dei 45 giri, anni Settanta e Ottanta, ma io ho approfondito per questo libro tutti i generi tv e tutti i programmi delle reti. Ne ho raccolte circa cinquemila, dal 1954 in poi, che è l’anno del debutto della Rai Tv, grazie anche alla consultazione dell’archivio Teche Rai.

Sono canzoni che spesso avevano anche influenza sul successo stesso dei programmi che trainavano, vero?

Certo, perché nella sigla sia di apertura che chiusura, c’era da pensare alla grafica televisiva e quella delle copertine. Per questo ho studiato i disegnatori e le coreografie. Tutto questo lavoro negli anni mi ha permesso di conoscere direttori d’orchestra leggendari come Pippo Caruso, Gianni Mazza, Pinuccio Pirazzoli, famoso arrangiatore di Adriano Celentano e tuttora maestro di musica che segue Carlo Conti in televisione. E ho avuto il privilegio di avere la prefazione di un regista che ha fatto la storia della tv, Vito Molinari.

Perché c’era necessità di un libro sulla storia della tv italiana dal punto di vista delle sigle?
Mi sono reso conto che le informazioni sul web sono scritte molto male e in maniera erronea. Amo lo spettacolo, ho recitato in teatro, ho fatto parte di compagnie amatoriali. Il libro è stato un sogno realizzato in primis per me perché non esisteva alcunché sul mercato italiano di simile. Mi ripetevo: voglio scrivere un libro che mette a riparo i ricordi. E si è trasformato in qualcosa di più grande, ho scoperto tanti gioielli nascosti che mi hanno fatto pensare ad altre evoluzioni della mia idea.

Come?

Voglio realizzare uno spettacolo televisivo sulle sigle, come se fosse un genere musicale a parte. Magari potrebbe essere un format con voto dal pubblico e sfida in diretta. Il conduttore ideale potrebbe essere Carlo Conti, visti i suoi trascorsi da dj e la passione per la televisione di un tempo.

Cosa non si sa molto delle sigle italiane?
Molte sigle note sono di programmi per adulti ma dirette al mercato dei bambini. Come “Portobello”, ad esempio, negli anni Ottanta: una sigla animata con un 45 giri a uso e consumo del pubblico dei piccoli, visto che i mangiadischi erano oggetti per l’infanzia. Molti cantanti degli anni 60, con l’avvento dei cantautori, furono messi da parte e si sono riciclati con il mercato delle sigle. Penso a “Sei forte, papà” che rilanciò Gianni Morandi nel 1976, “La Balena”, successo del 1980 di Orietta Berti, “Profumo di Mare” scritta apposta per il serial americano “Love Boat”, cantata da Little Tony nel 1981.

Come avveniva la trasposizione italiana delle serie straniere? Si traducevano anche le canzoni?
La Rai comprava le serie straniere con le sigle originali e le mandava in onda, come avvenne con “Happy Days”. Poi vennero fatte le sigle italiane per altre serie, come “Tarzan” e “Spazio 1999”.

C’è qualche brano che nella memoria collettiva è associato a un programma tv ma che tecnicamente non è da considerarsi sigla?
Senza dubbio “T’appartengo” di Ambra, successo clamoroso degli anni 90 per il programma “Non è la Rai”. Tutti la associano alla trasmissione Fininvest ma fu usata come sigla solo nell’ultima puntata.

Che rarità hai scoperto mettendo in fila tutte le sigle?

Dividendole per generi e mettendole in ordine cronologico mi sono reso conto anche di alcune particolarità. Per il citatissimo show “Mille Luci” (solo 8 puntate nel 1974 che hanno fatto la storia, ndr) “Din Don Dan” cantata da Raffaella Carrà apriva la trasmissione, mentre alla fine invece si sentiva la celebre “Non Gioco Più” di Mina. La Carrà odiava quella canzone e non l’ha mai più ricantata, per questo è finita nel dimenticatoio. Ho raccolto tutte le testimonianze dei musicisti coinvolti nella realizzazione di queste canzoni e mi sono affidato ai loro ricordi anche per molte sigle di cui non si hanno più i filmati.

Altre cose che sfuggono alla memoria collettiva ce ne sono?
“La Notte Vola” di Lorella Cuccarini era sigla di “Odiens”, programma di Antonio Ricci che nessuno ricorda del 1989. Il titolo del mio libro, poi, “Attenti alle sigle” è proprio un monito a fare attenzione al fatto che non si tratta di un genere di serie B superficiale, visto che sono stati chiamati a farle anche cantautori importanti come Lucio Dalla, Roberto Vecchioni ed Ennio Morricone. Addirittura la Rai chiese a Francesco De André, dopo il suo sequestro in Sardegna, di incidere la famosa “Una storia sbagliata”, canzone dedicata a Pasolini, per usarla come sigla di “Dietro Il Processo”.

Chi sceglieva le sigle per i programmi?

Spesso erano i conduttori ad avere l’ultima parola. Anche per questo, in segno di riconoscimento, in parecchi dischi si trovano i nomi di Mike Buongiorno, Corrado, Enzo Tortora inseriti tra gli autori. Ma erano tutti a digiuno di musica, tranne Pippo Baudo che davvero suonava. E ha davvero scritto “Donna Rosa” per “Sette Voci” nel 1966.

La copertina di “Attenti alle sigle!” di Claudio Federico uscito per Edizioni Efesto. Sul retro, la frase di Sandra Mondaini che esaltava questo genere musicale. Il libro è dedicato a un filone che ha avuto il suo massimo splendore dalla fine degli anni ’60 agli anni ’80. Quando i programmi televisivi erano, per lo più registrati, e curati nei minimi dettagli a partire proprio dalla sigla. Spesso, a fare da sigla, era una vera canzone. Nella storia della musica italiana alcune di esse hanno scalato i vertici delle classifiche dei 45 giri più venduti.


Il mercato è cambiato. Ma cambiava anche la discografia mentre uscivano le sigle. Ti sei fatto un’idea su chi ha venduto più di tutti?

Il duo Cochi e Renato cantava “E la vita la vita” in “Canzonissima” del 1974 proprio nell’ultima edizione del programma e fu un successo clamoroso. Il 1974 fu un anno di cambiamento per la Rai, con la riforma della tv di stato, infatti in quell’anno c’è l’unico Sanremo, condotto da Corrado, di cui non esiste la registrazione. Pensa che la vincitrice Iva Zanicchi ha solo qualche secondo salvato della sua esibizione grazie al passaggio in un telegiornale. Era cambiato il vento e alcune forme di spettacolo sembravano inappropriate. Detto ciò forse tra le sigle che hanno venduto di più c’è sicuramente “Furia” legata al telefilm cantata da Mal nel 1977. La prima ad avere un impatto sociale forte fu il “Dadaumpa” delle Gemelle Kessler. Ma uscì nel 1961, quando il mercato dei singoli in Italia non era ancora florido. Quindi, numeri relativamente bassi di vendite, ma canzone consegnata alla storia.

C’è stato un personaggio che ha fondato la sua fortuna sulle sigle?

Elisabetta Viviani per tutti è la voce della canzone del cartone animato di “Heidi”, uscita nel 1978. E Heather Parisi, showgirl completa, deve il suo posto nella storia proprio per il fatto di aver inciso sigle nel finire degli anni Settanta, quando i 45 giri si vendevano a milioni.

Cosa hai escluso dalla tua compilazione per il libro?
Famosissime canzoni che sono state usate come sigle di programmi. Come “Sottovoce” di Gigi Marzullo che da anni usa “Ancora” di Edoardo De Crescenzo: non l’ho considerata perché nella memoria collettiva è una canzone di Sanremo. La sigla non è solo la canzone ma anche l’immagine che scorre in accordo. Per questo “Fuoriorario”, il programma notturno di Rai 3 è menzionato nel mio libro, anche se la sigla “Because The Night” di Patti Smith non è certo stata scritta per quel fine.

Ci sono dei record relativi alle sigle italiane?

Gigi Sabani debuttò come cantante per l’avvio del programma di Canale 5 che doveva far concorrenza a “Fantastico” della Rai. E ci riuscì, quindi “A me mi torna in mente una canzone” è un simbolo di quel sorpasso di supremazia. L’ultima sigla stampata su 45 giri è di Mediaset: “Liberi Liberi” di Lorella Cuccarini per la “Buona Domenica” del 1991. Le sigle sono scomparse quando è scomparso il mercato discografico ad esse legato. Da lì in poi, sono diventate sigle corali e non pubblicate.

Quindi ci sono canzoni incise per programmi e mai pubblicate?

Certo, e alcune sono anche famose ma non sono state commercializzate. Ho recuperato tante sigle mai pubblicate grazie alle indicazioni del genio che è Claudio Martone e di Pippo Caruso che ricorda tutte quelle andate in onda ma senza essere pubblicate in qualsiasi supporto. Pensa a “Rimini“ di “Stasera mi butto”, nei primi anni 90. Per “La grande sfida” Valeria Marini incise una cover di “Heart of Glass” dei Blondie, mai uscita. Anche la sigla de “La Sai Ultima?”, “L’ultima la sai” di Pamela Prati non è mai uscita ma la si ascoltava solo in tv.

Le sigle sono quasi state abolite, o comunque di certo non vengono più commercializzate. Ma qualcuna degli ultimi anni ha lasciato il segno?
Le canzoni di apertura o chiusura di programmi tv che hanno segnato gli ultimi 10 anni sono perlopiù legate alle fiction. Penso a “Noi” di Lino Guanciale del 2022 con la sigla di Nada, a Il Volo che hanno cantato per la fiction “Makari” di recente. Anche Mika, straniero molto amato in Italia, ha cantato per “La Compagnia del Cigno” di Alessio Boni “The Sound of Life”. L’unico programma di intrattenimento che ultimamante ha avuto una sigla conosciuta è “La prova del cuoco” con “Margherita” del maestro Beppe Vessicchio, cantata dal trombettista Guido Pistocchi che richiamava la voce di Louis Armstrong.

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Immagine di Christian D'Antonio

Christian D'Antonio

Christian D’Antonio (Salerno,1974) è direttore responsabile della testata online di lifestyle thewaymagazine.it. Iscritto all’albo dei giornalisti professionisti dal 2004, ha scritto due libri sulla musica pop, partecipato come speaker a eventi e convegni su argomenti di tendenza e luxury. Ha creato con The Way Magazine e il supporto del team di FD Media Group format di incontri pubblici su innovazione e design per la Milano Digital Week e la Milano Design Week. Ha curato per diversi anni eventi pubblici durante la Milano Music Week. È attualmente ospite tv nei talk show di Damiano Gallo di Discovery Italia. Ha curato per il quartiere NoLo a Milano rassegne di moda, arte e spettacolo dal 2017. In qualità di giudice, ha presenziato alle manifestazioni Sannolo Milano, Positive Business Awards, Accademia pizza doc, Cooking is real, Positano fashion day, Milan Legal Week.
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