Ad Ascona, vicino Locarno, nel Canton Ticino svizzero, loa rassegna a carattere antologico di Joana Vasconcelos, curata da Mara Folini e Alberto Fiz, appositamente ideata per gli spazi del museo, propone nell’ambito di un allestimento spettacolare, 30 opere tra installazioni, lavori a parete, dipinti, disegni, video e libri, che ripercorrono le fasi salienti del suo percorso creativo, dall’inizio degli anni Novanta a oggi.

La visita alla mostra inizia attraversando fisicamente un’opera, che fa da soglia immersiva all’intero percorso. Composta da tessuti e patelle colorate sospese, l’installazione si muove con il passaggio dei visitatori: ogni corpo che entra è accarezzato dolcemente dal loro sventolio, generando una sensazione ambivalente tra gioco, stupore e straniamento.
Il visitatore si sente avvolto e disorientato allo stesso tempo, come se stesse entrando in un altro tempo, o in un’altra realtà — quella sensibile, tattile, emotiva — di cui Vasconcelos è architetta e custode.
È un gesto semplice ma potentemente simbolico: prima ancora di vedere, l’arte la si tocca, la si attraversa, la si vive.
Il colore come detonatore visivo
A colpire immediatamente è la ricchezza materica e cromatica delle sue opere: oggetti brillanti, voluttuosi, assemblati con una maestria che deriva da un rapporto profondo con il fare manuale.









L’artigianato, spesso relegato all’ambito privato e femminile, diventa nelle sue mani un linguaggio di denuncia e riscatto, attraverso il quale si rielaborano memorie, stereotipi e desideri.
Menu do Dia: la brutalità ben confezionata
Tra le opere più emblematiche esposte ad Ascona, Menu do Dia (2001) sorprende per la sua forza concettuale: una serie di vecchi frigoriferi anni Cinquanta, aperti come vetrine, custodiscono al loro interno pellicce profumate che evocano un pasto lussuoso, carnivoro, ambiguamente sensuale.
Ironia, eros e denuncia
Accanto a Menu do Dia, la mostra presenta altre installazioni che rafforzano questo discorso.
In Cama Valium (1998), blister di farmaci trasformano un letto in simbolo di un’esistenza anestetizzata.
Fashion Victims (2018) mostra due bambole avvolte da fili meccanici che gradualmente le imbavagliano, lasciando nudi solo seni e pube: un’immagine tanto inquietante quanto eloquente.
E nella monumentale Big Booby (2018), uncinetto e tessuti imbottiti danno forma a un seno esploso, caricatura seduttiva e provocatoria di un corpo ridotto a oggetto.
Una sezione della mostra è dedicata a Stupid Furniture (2021–2022), progetto in cui l’artista riutilizza mobili dismessi rivestendoli di tessuti colorati, trasformandoli in presenze giocose e familiari. Ogni oggetto, dai nomi evocativi come Happy Hour o Sirenetta, racconta una possibile seconda vita dell’inutile, dove design e memoria si fondono.
Completano il percorso opere iconiche come Wash and Go (1998), La Baronessa (2023), l’imponente Red Independent Heart (2013), e il delicato Flowers of My Desire, da cui prende il nome la mostra, una composizione di piumini da cipria che fluttuano in una forma organica, tra eros e nostalgia. In un’epoca dominata dal consumo compulsivo e dalla produzione seriale, Joana Vasconcelos ci ricorda la potenza degli oggetti — e della memoria — quando vengono rimessi in circolo con consapevolezza, ironia e poesia.
Report e foto di Gianni Foraboschi per The Way Magazine
JOANA VASCONCELOS. Flowers of My Desire
Fino al 12 ottobre 2025
Orari: martedì-sabato, 10.00 – 12.00; 14.00 – 17.00; domenica e festivi, 10.30 – 12.30
Aperta a Ferragosto (dalle 10.30 alle 12.30)