Più forti di prima, più e come prima, più “affamati” che mai. Sarà contento lo Steve Jobs dello “stay hungry” ma al momento della ripartenza, cerchiamo di arrivarci con meno retorica foolish e più senno. La retorica della “ripartenza” è quasi più antipatica del rampante ottimismo in piena pandemia.
La ripresa non potrà essere come prima, e in parte ce ne dispiace, perché anche noi che facciamo un giornale di informazione slegata dalla scottante attualità ce ne accorgiamo. Cambiano i parametri e cambiano le persone, per un anno ci dovremo adattare a un nuovo, si spera transitorio, modo di vivere a distanza. E in questa situazione, quindi, la fame di tornare come prima è alquanto anacronistica.
E poi, sinceramente, chi ha voglia di riprendere il vortice di “quella normalità” quando la pandemia ha lasciato un segno profondo? Sarebbe come mettere un cerottino a una ferita da 300 punti.
Se c’è una lezione che emerge da questo lockdown, è quella della disgregazione di pensiero autorizzata. Cantanti che invocano tutele per concerti negli stadi, stilisti che si svegliano dal finto letargo e invocano ritmi più soft per il mondo che verrà. Tutti a controllare il proprio orticello, in barba alla retorica che ci vorrebbe domani più uniti e migliorati. Se queste sono le premesse, c’è poco da sperare.
La logica del guadagno che è alla base del mondo globalizzato (e capitalizzato) farà il suo lavoro di spinta, per tornare “più forte di prima”. Potrà essere un “business as usual” mitigato da un nuovo “umanesimo”? A questa probabile restaurazione dovremmo tutti rispondere non con la retorica vuota del “meglio di prima”. Ma con l’unica arma che ci resta: ragionare con la nostra testa. Seguire le aspirazioni individuali, che è anche uno dei pilastri dell’informazione del giornale che state leggendo, dovrebbe essere la strada. The Way, appunto. Ma deve essere una strada dove convergono sempre di più le esigenze e il rispetto. Una confluenza accogliente che considera preziosa ogni provenienza. Solo se ci riusciremo, e non è scontato, saremo “meglio di prima”.
In foto d’apertura: grafica dell’ultima edizione della fiera Arkeda a Napoli. L’opera dell’architetto Germana Maranca riprende il concetto di 70 anni fa di Modulor: una scala di proporzioni basate sulle misure dell’uomo inventata dal famoso architetto svizzero-francese Le Corbusier come linea guida di un’architettura a misura d’uomo.
Commenti e opinioni
Dopo il lockdown, risparmiateci la retorica della “ripartenza”
Una confluenza accogliente. Le aspirazioni individuali mitigate dal rispetto altrui. Non si può ripartire senza tenerne conto.
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Dopo il lockdown, risparmiateci la retorica della “ripartenza”
Una confluenza accogliente. Le aspirazioni individuali mitigate dal rispetto altrui. Non si può ripartire senza tenerne conto.
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Dopo il lockdown, risparmiateci la retorica della “ripartenza”
Una confluenza accogliente. Le aspirazioni individuali mitigate dal rispetto altrui. Non si può ripartire senza tenerne conto.
Più forti di prima, più e come prima, più “affamati” che mai. Sarà contento lo Steve Jobs dello “stay hungry” ma al momento della ripartenza, cerchiamo di arrivarci con meno retorica foolish e più senno. La retorica della “ripartenza” è quasi più antipatica del rampante ottimismo in piena pandemia.
La ripresa non potrà essere come prima, e in parte ce ne dispiace, perché anche noi che facciamo un giornale di informazione slegata dalla scottante attualità ce ne accorgiamo. Cambiano i parametri e cambiano le persone, per un anno ci dovremo adattare a un nuovo, si spera transitorio, modo di vivere a distanza. E in questa situazione, quindi, la fame di tornare come prima è alquanto anacronistica.
E poi, sinceramente, chi ha voglia di riprendere il vortice di “quella normalità” quando la pandemia ha lasciato un segno profondo? Sarebbe come mettere un cerottino a una ferita da 300 punti.
Se c’è una lezione che emerge da questo lockdown, è quella della disgregazione di pensiero autorizzata. Cantanti che invocano tutele per concerti negli stadi, stilisti che si svegliano dal finto letargo e invocano ritmi più soft per il mondo che verrà. Tutti a controllare il proprio orticello, in barba alla retorica che ci vorrebbe domani più uniti e migliorati. Se queste sono le premesse, c’è poco da sperare.
La logica del guadagno che è alla base del mondo globalizzato (e capitalizzato) farà il suo lavoro di spinta, per tornare “più forte di prima”. Potrà essere un “business as usual” mitigato da un nuovo “umanesimo”? A questa probabile restaurazione dovremmo tutti rispondere non con la retorica vuota del “meglio di prima”. Ma con l’unica arma che ci resta: ragionare con la nostra testa. Seguire le aspirazioni individuali, che è anche uno dei pilastri dell’informazione del giornale che state leggendo, dovrebbe essere la strada. The Way, appunto. Ma deve essere una strada dove convergono sempre di più le esigenze e il rispetto. Una confluenza accogliente che considera preziosa ogni provenienza. Solo se ci riusciremo, e non è scontato, saremo “meglio di prima”.
In foto d’apertura: grafica dell’ultima edizione della fiera Arkeda a Napoli. L’opera dell’architetto Germana Maranca riprende il concetto di 70 anni fa di Modulor: una scala di proporzioni basate sulle misure dell’uomo inventata dal famoso architetto svizzero-francese Le Corbusier come linea guida di un’architettura a misura d’uomo.
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