3021 è composto da otto brani su etichetta Caravan di Francesco De Gregori: “Lo ringrazio perché se non c’era lui avrei fatto molta fatica a venire alla luce. Non ha la sonorità che si ascolta in radio. Mi sono buttata nel vuoto, senza paracadute. E l’atterraggio è stato morbido proprio grazie a lui”.
L’album, il nono della sua carriera, è stato scritto in completa autonomia: “Le canzoni sono nate tra il 2022 e l’anno dopo, le ho registrate anche in mezzo agli impegni da attrice. Quando timidamente ho presentato le prime incisioni, mi ha incoraggiato. E quando mi sono messa alla ricerca di etichette indipendenti, mi ha fatto la proposta e per me è stata come trovare casa. Musicalmente parlando mi ha dato la possibilità di fare quello che volevo anche quando ho aperto i suoi concerti l’anno scorso, permettendomi di cantare tutte canzoni nuove”.
Prodotto da Caravan, l’etichetta discografica di Francesco De Gregori, e distribuito da Sony Music Italia, “3021” comprende 8 brani scritti dalla stessa Angela Baraldi e composti insieme a Federico Fantuz. Se per gli arrangiamenti musicali la cantautrice, rompendo gli schemi, si è lasciata ispirare a tratti dal cosmo e dal suo fascino misterioso, nei testi è andata alla ricerca dell’essenziale, esplorando sensazioni e sentimenti umani.
Oggi l’artista dice di vivere la musica con un’intenzione diversa rispetto al suo approccio al cinema, per cui ha fatto tanto negli ultimi decenni: “Ho studiato per la recitazione, certo, ma mi sono resa conto che l’ambito musicale permette più margine di espressione. L’attore è un sacco vuoto senza un progetto credibile. Nella musica puoi essere pienamente responsabile. Se poi si aggiungono anche altre cause, tipo diverbi col produttore, si capisce bene come una carriera cinematografica possa subire un arresto”.
«“3021” è come una serie antologica, dove le trame e i personaggi cambiano in ogni puntata e il filo narrativo che li lega è unicamente il suono. Si può dire che è il contrario di un concept album – dice Angela Baraldi – Ho immaginato il suono delle sfere, dei pianeti e dello spazio profondo e abbiamo provato a riprodurlo usando chitarre, basso, batteria e qualche synth. Ho voluto sperimentare la semplicità. A differenza dei suoni, nei testi, invece, ho cercato il terreno, l’umano, da contrapporre allo spazio profondo delle galassie. Il risultato sono otto canzoni, che non so se sono o non sono rock. Ho cercato di liberarmi dalle sovrastrutture e dalle aspettative. Mi sono presa il lusso di sorprendere, o magari anche di deludere, chi mi segue. Agli artisti che amo succede anche questo…».
Nato inizialmente per avere un qualcosa da presentare dal vivo ancora oggi, ora l’artista si scontra con uno scenario diverso rispetto al pre-Covid, e i club che erano il suo habitat naturale sono molto meno: “Non riuscirei a riempire grandi spazi, lo so. Ma ho bisogno di quella dimensione per ritornare live. Penso anche a un concerto di David Bowie che vidi in uno stadio pensando: non me lo sto godendo”.
Temi importanti sono toccati nei brani del disco, come in “Corvi”, che parla della generazione dei ragazzi di oggi. Che ha un’ispirazione singolare, a tratti drammatica: “Ho visto delle immagini di un ragazzo che con un braccio teneva il cellulare cercando di immortalare i divi della Mostra del Cinema di Venezia. E quel braccio rivelava un sacco di tagli che si era inflitto. Lì mi è venuta la spinta per scrivere la fine del pezzo”.
“Scrivo un pezzo all’anno – scherza l’autrice – e la pandemia mi ha procurato molto panico. Aspettavo che finisse l’alta marea e lo scenario era davvero cambiato, sentivo di far parte di una topologia un po’ autoctona come modo di fare musica. Sono lenta nella scrittura, nel frattempo avevo bisogno di lavorare, guadagnare e il tempo è passato senza potermi immergere nel progetto completamente. Quando ho vinto il premio della critica al Festival di Sanremo, anni fa (1993, ndr), mi sono reso conto che quella è una vetrina che ha regole molto ferree. Ma è anche nobile pensare di potercela fare senza passare da quel palco”.
L’album non è frutto di consigli artistici altrui (“De Gregori mi ha solo dato consigli pratici, non intrusioni creative”), piuttosto figlio di tutte le esperienze precedenti, quindi non tradisce l’intento iniziale di essere sincera, che è la posizione che Angela Baraldi tiene sempre quando compone. “Possiamo immaginare cosa succederà tra 100 anni, ma tra 1000 no. Volevo richiamare nel titolo la sensazione che si ha quando si è sull’orlo della voragine. Una specie di disagio a pensare a questa distanza che è difficile immaginare. Io sono una romantica ottimista, penso ci sarà ancora la razza umana, decisamente”.
“Bellezza dov’è” è una traccia che parla di Roma: “La città è piena di cose bellissime, una metropoli piena di livelli, ha un aspetto di inclusività totale, con un’umanità pazzesca e solo all’apice si svela la bellezza. Per questo non sempre si riesce a cogliere, riconoscerla necessita di uno sforzo quasi divino”.
Un omaggio a Lucio Dalla in “Cosmonauti”: “Dopo qualche tempo dalla sua morte mi è venuto in sogno. Per me e tanti altri suoi amici è stato molto doloroso non averlo salutato. Ho sognato che su una navicella spaziale guardavamo dei canyon colorati e lui gridava ‘in picchiata!’, ma nella canzone non lo cito”.
“3021” è stato registrato e mixato da Alessandro Sportelli e masterizzato da Giovanni Versari, con la produzione artistica di Angela Baraldi, Federico Fantuz e Ale Sportelli. Nell’album hanno suonato, oltre alla stessa Angela Baraldi (voce, cori, piano in “3021” e “La vestizione”, synth in “Corvi” e archi synth in “Saturno”), Federico Fantuz (chitarre, basso, basso synth in “La preghiera della sera”, piano in “Cuore elettrico”, organo in “Bellezza dov’è”, batteria in “La vestizione”, clavinet in “Cuore elettrico” e cori in “Cosmonauti”), Daniele Buffoni (batteria) e Ale Sportelli (programmazione in “La preghiera della sera”, “Cuore elettrico” e “La vestizione” e basso synth in “Saturno”). Hanno suonato anche Susanna La Polla De Giovanni (synth in “La preghiera della sera”), Giovanni Fruzzetti (piano in “Bellezza dov’è” e basso in “La preghiera della sera” e “Corvi”), Tim Trevor Briscoe (sax tenore in “Saturno”) e Andrea Zucchi (sax baritono in “Saturno”).
“Non penso che il computer sia disumano. Non reputo sgradevole lo strumento digitale. Forse ora il suono degli strumenti non è più parte delle nostre abitudini. Ma credo che ci siano ancora oggi i diciottenni che ascoltano Nirvana e Jimi Hendrix”.

Sul suo mestiere racconta: “Il palco è un luogo sacro ma anche spietato. Al Palaeur un anno che aprivo come ottava artista il concerto di Lucio Dalla, fui fischiata. Però è una dimensione necessaria, perché quando scendi dal palco stai meglio di come quando ci sali. Quindi significa che succede qualcosa”.
Foto di apertura: Angela Baraldi, foto di Claudia Pajewski per Caravan