In mostra sei decadi di carriera di un artista dalle sue prime opere degli anni Cinquanta fino alle più recenti. A Locarno, in Svizzera, si mette in luce l’evoluzione del linguaggio artistico di Niele Toroni, e la sua visione innovativa della pittura. Accanto a lavori più iconici, sono esposte anche opere più intime e inedite. “Niele Toroni. Impronte di pennello n. 50, dal 1959 al 2024” al Museo Casa Rusca di Locarno si impone non solo come evento artistico, ma come esperienza percettiva e riflessiva di straordinaria intensità. Curata da Bernard Marcadé, storico dell’arte e intimo collaboratore dell’artista, la retrospettiva riunisce oltre 80 opere realizzate in più di sessant’anni di attività, tracciando un percorso coerente, ma mai ripetitivo, che restituisce al pubblico l’integrità di un metodo pittorico radicale.




Le “impronte di pennello n. 50”, applicate in modo regolare a distanza di 30 cm l’una dall’altra, costituiscono il fulcro della pratica toroniana. Ma non si tratta di mero rigore meccanico: al contrario, l’esposizione di Locarno rivela la straordinaria versatilità di un linguaggio che, proprio nel suo vincolo, si apre a infinite modulazioni. È proprio in questa coerenza metodica che si rivela, con forza, la dimensione lirica e contemplativa dell’opera di Toroni.
Dal comunicato del museo apprendiamo che si tratta della prima grande retrospettiva dedicata all’artista ticinese in Svizzera. Una lacuna colmata con rigore e sensibilità. Marcadé invita il pubblico a “relazionarsi con le opere per ciò che sono fisicamente” e a evitare letture concettuali preconfezionate. Toroni va vissuto, non spiegato. Va guardato, non interpretato. Come egli stesso ha dichiarato più volte, è fondamentale “vedere” le opere piuttosto che parlarne.
Una citazione riportata nella monografia “Guardare in aria” sembra racchiudere bene lo spirito del suo lavoro: “Non dipingo quello che vedo, ma quello che può essere visto quando si guarda davvero”. Un’altra affermazione dell’artista, risalente agli anni Ottanta, recita: “L’impronta è un fatto. Il fatto pittorico. Niente più e niente meno”.
La mia esperienza personale, maturata in oltre 35 anni di frequentazione dei musei ticinesi (dal Museo d’Arte di Ascona a quello Cantonale di Lugano), mi ha portato più volte a incontrare il lavoro di Toroni. E ogni volta, anche nei grandi murali permanenti, ho percepito lo stesso sussulto interiore: un invito alla concentrazione, alla sospensione del tempo, alla partecipazione visiva totale.




Lo stile di Toroni, pur nel suo minimalismo, mi ha sempre ricordato le grandi sperimentazioni dell’avanguardia russa: Malevich, El Lissitzky, Rodchenko. Come loro, Toroni è capace di generare una geometria dello spazio pittorico che è anche una sinfonia mentale. La ripetizione non è mai pura serialità, ma contemplazione ritmica. Lo spazio tra le impronte diventa respiro, pausa, silenzio: un invito all’introspezione.
Il percorso espositivo si sviluppa secondo un arco temporale che permette di osservare le evoluzioni e le persistenze di una visione artistica incrollabile. Le opere dei primi anni Sessanta portano con sé un senso di esplorazione e audacia, una fase in cui Toronidefinisce la grammatica della sua pittura. Con gli anni Settanta e Ottanta, l’artista affina e consolida il metodo, mentre gli anni Novanta e Duemila lo vedono confrontarsi con superfici sempre più diverse — dal legno alla tela cerata, dalle radiografie alle carte da giornale — in un continuo esercizio di adattamento, mai di compromesso.
Negli ultimi due decenni, fino al 2024, la sua opera assume quasi una dimensione meditativa. Non più solo ricerca, ma anche testimonianza. Un artista che, pur fedele al suo gesto, dimostra come l’essenzialità possa farsi profondità. La costanza del gesto pittorico attraversa i decenni come un filo rosso, offrendo allo spettatore la possibilità di confrontarsi con l’inesorabilità del tempo e con la quiete che solo l’arte sa evocare. Come dichiarato dallo stesso Toroni: “Il mio lavoro non cambia, ma cambia il mondo intorno”.






Ciò che più mi ha colpito, però, è il rapporto quasi simbiotico che si crea con i lavori esposti: ti sembra che il quadro ti osservi, che ti interroghi, che ti accolga. Lì, in quel ritmo visivo apparentemente “freddo”, pulsa un’intensa umanità. Una pittura che non vuole stupire, ma penetrare.
La mostra è arricchita anche da un programma collaterale di grande valore, come la presentazione della monografia “Guardare in aria” e una sezione dedicata al dialogo tra Toroni e HaraldSzeemann, dal 16 marzo all’11 maggio presso il Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona.
In conclusione, la retrospettiva locarnese rappresenta non solo un doveroso omaggio a un grande artista svizzero, ma un vero viaggio interiore. Un invito alla lentezza, all’osservazione, all’empatia. In un mondo frenetico e urlato, la pittura silenziosa di Niele Toroni si impone come una delle forme più alte di resistenza poetica.

Report di Gianni Foraboschi