Il Teatro Mercadante-Teatro Nazionale di Napoli inaugura la stagione 2024/25 con Don Giovanni da Molière, Da Ponte e Mozart, adattato diretto e interpretato da Arturo Cirillo; co-prodotto dai Teatri Nazionali di Napoli e Genova, da Marche Teatro e da Emilia Romagna Teatro lo spettacolo resterà in scena a Napoli fino a domenica 27 ottobre per poi proseguire in tournée.
Arturo Cirillo, classe 1968, è tra i più applauditi registi italiani del momento (insieme ad Emma Dante e Davide Jodice, suoi compagni all’Accademia Silvio D’Amico). Napoletano di nascita e di cultura, vincitore di molteplici premi come l’Ubu e L’Hystrio per la regia, vanta collaborazioni – come attore – con registi quali Castri, Sepe, Cecchi nonché numerose regie di prosa e di lirica. Naturale, quindi, che decidesse di misurarsi con un personaggio archetipico come Don Giovanni eternato in due capolavori assoluti di entrambe le espressioni teatrali: quello di Molière, appunto, e quello “gioiosamente cupo” di Mozart, su libretto dell’italiano Da Ponte. “Ricordo di essere rimasto folgorato quando, da bambino, i miei genitori che erano due intellettuali mi portarono a vedere l’opera al San Carlo, – ricorda emozionato Cirillo – per poi rincontrarlo, molto più tardi in accademia, tramite il musicista e storico della musica Paolo Terni (che ha firmato la maggior parte delle musiche di scena degli spettacoli di Strehler, ndr). È lui che mi ha fatto scoprire veramente il libretto di Da Ponte che, per vivacità e musicalità è una delle vette più alte della letteratura italiana, almeno dal punto di vista linguistico.”


Negli anni successivi Cirillo si è sempre più accostato all’opera di Molière, avendone già messo in scena Le Intellettuali nel 2005 e La Scuola delle Mogli nel 2018, trovando nel grande commediografo francese “qualcosa che parla alla mia anima”. Della sua versione seicentesca della vicenda del personaggio inventato dalla penna di Tirso De Molina nel ‘500, pur con tutti i limiti di un’opera composta in fretta e furia dopo la censura e il ritiro del Tartuffe, Cirillo apprezza maggiormente “la capacità di lavorare su un comico paradossale e ossessivo che a volte sfiora il teatro dell’assurdo”, mentre della versione settecentesca di Da Ponte ammira “la poesia e la leggerezza, a volte anche una drammatica leggerezza.” Su tutto aleggia la musica di Mozart “che di questa vicenda riesce ad esprimere sia la grazia che la tragedia ineluttabile.” Già, perché la lettura che Cirillo dà del personaggio, molto improntata sulla versione cinematografica di Joseph Losey del ’79, è quella di “un nichilista che ha perso la fede in tutto, non solo in Dio, e si dispera per questo.”
Quel che ne risulta è uno spettacolo assolutamente coerente ed organico, pur con la sua alternanza di toni e registri (poetico, per quanto riguarda le parti di Da Ponte, prosaico per il testo di Molière) che, lungi dall’essere in contrasto tra di loro, arricchiscono la messa in scena di vivacità e ritmo sostenuto. Anche il concetto di “recitar-cantando”, di per sé abbastanza oscuro, si concretizza in una cadenza ritmata delle battute il cui valore poetico e comico ne viene, così, esaltato. Il resto lo fanno le doti istrioniche di Arturo Cirillo, nei panni del protagonista, e di Giacomo Vigentini in quelli di Sganarello. Ottima prova per tutto il resto del cast, alle prese con doppi e – a volte – tripli ruoli, ognuno giocato su caratterizzazioni convincenti.
Tra tutti ricordiamo Rosario Giglio nei ruoli di Don Luigi, il Commendatore e Signor Quaresima. Di
particolare effetto il finale per nulla pirotecnico, come vuole la tradizione, ma più intimo e sofferto, come una confessione del fedifrago ateista a se stesso. Come d’effetto sono le scene di Dario Gessati che rimandano ai giardini di Versailles, i costumi di Gianluca Falaschi (anche qui una commistione tra elementi d’epoca e moderni, poetico e prosaico appunto) e, soprattutto, le musiche di Mario Autore che riscrive per un ensamble da camera alcuni brani della partitura di Mozart che di questa vicenda riesce a raccontare sia la grazia che la tragedia ineluttabile. “Perché – per dirla alla Cirillo – in fondo questa è anche la storia di chi non vuole o non può fare a meno di giocare, recitare, sedurre; senza fine, ogni volta da capo, fino a morirne.”
Foto dalle prove di Ivan Nocera. Testo a cura di Davide D’Antonio