13 Maggio 2021

In Italia non ci sono più toilette pubbliche

Gli interrogativi degli architetti e gli esempi di pubblica utilità dal Giappone.

13 Maggio 2021

In Italia non ci sono più toilette pubbliche

Gli interrogativi degli architetti e gli esempi di pubblica utilità dal Giappone.

13 Maggio 2021

In Italia non ci sono più toilette pubbliche

Gli interrogativi degli architetti e gli esempi di pubblica utilità dal Giappone.

Ci sono alcune conseguenze del Covid a cui non si pensa mai, o che passano in secondo piano giustamente oscurate da tante, tantissime cose molto più gravi e importanti. Io vorrei porre l’attenzione su una di queste che ha trovato pochissimo spazio nella cronaca dell’ultimo anno, ma che per molte persone ha costituito un gran problema con cui fare i conti. Vediamo quale. In zona rossa vietato entrare in bar e ristoranti e quindi vietato utilizzare le toilette di bar e ristoranti. E perfino ora che in zona gialla sono aperti, la raccomandazione è quella di non consentire l’accesso ai clienti alle toilette interne.

Visto che sono numerose le persone che per lavoro sono fuori casa intere giornate e che normalmente entrano nei locali pubblici non solo per consumare un caffè o un pasto, ma anche appunto, per utilizzare i loro bagni, mi sono chiesta come hanno fatto questi malcapitati negli ultimi mesi.

Ho sentito storie veramente imbarazzanti delle soluzioni che hanno dovuto adottare: angoli nascosti, campi coltivati, bottiglie vuote in auto e altri ingegnosi stratagemmi.

E questo perché nel Belpaese non ci sono valide alternative alle toilette degli esercizi pubblici.

In effetti pensandoci bene: quante città sono dotate di bagni pubblici? Quanto sono segnalati? Sono presenti in periferia? E nei piccoli centri?

Purtroppo il riscontro a questi interrogativi è assolutamente negativo.

Ma è possibile che l’Italia, anche nelle sue città più importanti e più turistiche, non sia dotata di toilette pubbliche diffuse su tutto il territorio comunale? O che ne abbia poche, non funzionanti o indecorose?

E dire che una volta, giusto qualche millennio fa, eravamo all’avanguardia sull’argomento!

Gli imperatori a Roma consideravano prioritario il decoro della città, Vespasiano per esempio investì molto denaro in lavori pubblici, restauri, abbellimenti, e oltre che per la realizzazione del Colosseo e di tante altre opere imponenti, è ricordato proprio perché dispose la costruzione, nonché la tassazione, di numerosi orinatoi che presero appunto il nome di vespasiani.

E oggi?

Oggi siamo presi in giro dagli altri popoli per la nostra cura dell’igiene ritenuta addirittura ossessiva; e in effetti sventoliamo sempre l’uso del bidet come motivo di orgoglio nei confronti di Nazioni che non ne sono dotate. A quanto pare quindi siamo puliti e profumati nel privato, sporchi e sciatti nel pubblico.

Altrettanto non accade in altre parti del mondo.

In Giappone ad esempio c’è un vero e proprio programma chiamato The Tokyo Toilet in cui sono stati coinvolti i migliori progettisti locali, architetti come Tadao Ando e Toyo Ito per intenderci (due Pritzker Prize, non due tecnici qualunque).

I bagni progettati da Shigeru Ban hanno pareti in vetro trasparente che diventano opache se sono occupati. Ciò permette di verificare ancor prima di entrare la pulizia dei servizi e l’eventuale disponibilità degli stessi.

Alcuni degli altri bagni realizzati sono addirittura divisi non per generi, ma per funzioni come cambiarsi i vestiti o truccarsi. Non mancano sedili riscaldati, musica di sottofondo, comfort che in Italia non sono contemplati neanche nei bagni di alberghi stellati.

Il confronto tra Giappone e Italia a riguardo è dunque impietoso.

“Non è mica da questi particolari che si giudica una Nazione!” potreste controbattere canticchiando. Chiediamoci allora come si misura la civiltà di un Paese.

Ci sono certamente tantissimi parametri da tenere in considerazione, ma è palese che c’è troppa distanza tra la bottiglia in macchina e il capolavoro di architettura contemporanea, per sminuire la questione “bagni”.

Se vogliamo essere un Paese veramente civile, se vogliamo essere un Paese veramente accogliente, dobbiamo poter offrire oltre che sole, pizze, scavi archeologici e paesaggi mozzafiato, anche tutta una serie di servizi a residenti e turisti. E quindi, perché no, anche dei bagni pubblici, diffusi, puliti ed efficienti.

Inventiamoci qualcosa allora, investiamo un po’ di euro del Recovery Plan, diamoli in gestione ai privati, manuteniamoli con i soldi derivanti dal loro utilizzo, trasformiamoli in piccole gallerie d’arte, accettiamo grandi sponsorizzazioni per costruirne di nuovi e migliorare gli esistenti.

Perché lockdown o meno, chiunque ne abbia bisogno ha diritto ad usufruire di bagni dignitosi.

Non accontentiamoci di essere il Paese più bello del Mondo insomma, tentiamo finalmente di diventare un Paese veramente civile che può competere alla pari con altri anche su questioni di dettaglio, ma dirimenti, come questa.

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Immagine di Emilia Abate

Emilia Abate

Emilia Abate, architetto, si laurea col massimo dei voti presso l’Università Federico II di Napoli, ma solo negli anni successivi scopre che la sua vera vocazione è il progetto. Con Francesco Rotondale e lo STUDIO74RAM si occupa di progettare case, uffici, chiese, negozi, arredi, prodotti. Alcuni lavori sono stati oggetto di mostre, pubblicazioni, premi in concorsi nazionali e internazionali. Dal 2016 fa parte del direttivo di Radicity, un’associazione che si occupa di rigenerazioni urbane ecosostenibili. Dal 2020 ha deciso di condividere con i lettori di The Way Magazine le sue riflessioni su design, architettura e urbanistica. Vive e lavora a Napoli.
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